Riccardo Panattoni insegna Etica e psicoanalisi presso l’Università di Verona. Ha fondato il Centro di ricerca “Tiresia” per la filosofia e la psicoanalisi, presso la stessa Università. Insieme a Elio Grazioli cura la serie Imm’ sulla cultura visuale. Il suo ultimo libro: Siamo cambiati dalle immagini. Esitazione, responsabilità, incanto (Bergamo 2014).
Per Orthotes dirige la collana phi/psy (con Federico Leoni e Gianluca Solla) e la serie Le parole della psicoanalisi (con Federico Leoni).
Sull’immaginario
Proviamo ad avanzare un’ipotesi argomentativa, facciamo conto che l’oggetto piccolo a, quello che lo stesso Lacan ha considerato il suo più importante contributo alla psicoanalisi, sia un’immagine, un’immagine in senso letterale e la funzione oggetto piccolo a si situi invece nella schisi tra l’occhio e lo sguardo. Nel costituirsi dello scarto tra l’occhio e lo sguardo, troveremo quest’ultimo impegnato ogni volta a significare l’immagine sotto la propria visione o a fare della visione un insieme significante in cui le immagini si dissolvano, non vengano colte come tali ma per ciò che esprimono. L’occhio rimarrebbe lo sfondo in cui le immagini non possono che rifrangersi e trovare lì il tempo di una propria fissità, fissità muta, senza che nel tempo della sua permanenza s’introduca alcuna effettiva significazione. Ovviamente, trattandosi di una schisi, non possiamo pensare che lo sguardo e l’occhio siano due realtà separate, chiaramente una non può stare senza l’altra, tuttavia ciò che interessa è la loro non perfetta coincidenza. Se dunque lo sguardo scorre all’interno di un’interrotta continuità di significazione, se non smette mai di leggere anche ciò che reifica, riprende, recupera, il tempo di fissità dell’occhio lascia che le immagini ritornino come dei puri fantasmi, proprio come la tecnica fotografica ci ha permesso di cogliere in tutta la sua evidenza. Perché sebbene le fotografie, così come le immagini mentali che ci accompagnano, non abbiano uno statuto ontologico, non possiamo certo pensare che non appartengano all’ordine del reale.
Questa concomitanza tra le immagini interiori e le fotografie ci porta ad avvicinare il nostro oggetto piccolo a a un oggetto virtuale. Diciamo avvicinare perché, come cercheremo di mostrare, l’immagine, attraverso la funzione della schisi tra l’occhio e lo sguardo, non permette una perfetta coincidenza tra ciò che indichiamo come oggetto piccolo a e l’oggetto virtuale, ci troveremo piuttosto davanti a una sorta di doppia declinazione all’interno dell’immagine stessa, come se presentasse una doppia faccia della propria visibilità tra quello che indicheremo come virtuale, assunto nell’accezione che di tale concetto ne dà Gilles Deleuze, e ciò che Lacan presenta come registro del reale. Anche in questo caso senza che si possa parlare di una vera e propria divisione, di una perfetta distinzione tra i due concetti. Potremmo dire che l’oggetto piccolo a e l’oggetto virtuale, nella funzione di schisi tra l’occhio e lo sguardo, non fanno uno senza per questo essere mai effettivamente due.