Diana Napoli, Michel de Certeau, filosofo della modernità

Michel de Certeau è stata una figura eterodossa, capace di interessarsi allo stesso tempo e con la stessa serietà a Ignazio di Loyola, ai fondamenti teorici della storiografia e alle lettrici del settimanale Nous Deux. Nelle università del Nord America in cui insegnava negli anni Settanta nessuno credeva che fosse davvero un gesuita, quando invece era entrato nella Compagnia di Gesù nel 1950, rimanendoci per tutta la vita.

Questo testo propone un inedito itinerario di lettura tra i molteplici percorsi che la sua opera ci offre, ponendoci di fronte a Certeau come filosofo della modernità. Dai mistici del XVII secolo a Freud, all’«uomo ordinario», al maggio francese, alla crisi delle istituzioni, il libro segue Certeau nella definizione di un’esperienza del mondo – quella moderna – che si caratterizza per la sostituzione di una logica politica a una religiosa nelle operazioni di produzione e legittimazione della verità, configurando, di conseguenza, la fine della modernità, nell’Occidente che stiamo vivendo, come la perdita della capacità, propria dell’istituzione politica, di «far credere».

Come ci ricorda François Dosse, autore della più importante biografia di Michel de Certeau, Le marcheur blessé, la pubblicazione del primo volume di Fabula mistica nel 1982 fu un vero e proprio evento editoriale, accolto dalla critica come la conclusione matura di un lungo percorso intellettuale.

La riflessione certiana si era andata definendo e articolando nel corso degli anni, attraverso contributi e interventi tra loro eterogenei, in un itinerario che, come ha mostrato magistralmente Andrès Freijomil, aveva visto Certeau ripensare, approfondire, riprendere e riscrivere – quasi bracconiere di se stesso – i temi fondamentali della sua opera. Una parte importante della sua produzione era stata consacrata alla mistica, a partire dagli anni Sessanta, indubbiamente sollecitata dall’incontro con la figura del gesuita Jean-Joseph Surin (1600-1665) – consacrato da Henri Brémond come il più grande mistico della Compagnia di Gesù – di cui aveva, già nel 1966, editato la Corrispondenza. Il primo volume di Fabula mistica si presenta quindi come l’esito di un’indagine che aveva accompagnato Certeau per almeno due decenni. Attento lettore di Henri Brémond, allievo di Jean Baruzi e di Jean Orcibal, Certeau non aveva intenzione di iscrivere le sue ricerche nel solco di una storia religiosa e interpreta la mistica innanzitutto come un’esperienza di linguaggio e di scrittura, analizzandola come la figura storica della modernità. Con un approccio capace ancora oggi di lasciare il lettore disorientato per una scrittura che giace completamente al di là di una “grammatica” storica e che addirittura, come recita il famoso incipit, «si presenta in nome di un’incompetenza», la sua complessa riflessione sui mistici e il loro modus loquendi si configura come un grande affresco della modernità, una disamina del suo paradigma epistemico e un’analisi della riarticolazione dei rapporti tra sapere e potere in un contesto, quello moderno appunto, in cui la logica politica sostituisce quella religiosa nelle operazioni di produzione e legittimazione della verità.

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