Nella trama di questa ricerca uno dei fili più tenaci insiste su una certa simultaneità del reale e della relazione. Al di là di un certo idealismo e di un certo realismo il reale accade, nella modalità di una singolare ipostasi, nel “tra” di una relazione. Intorno a questo nucleo teorico diverse nozioni rilevanti nella nostra tradizione si trovano a oscillare sul proprio asse e mutare fino a cambiare statuto. Perde rilievo la macchina concettuale che si sviluppa nella distinzione tra empirico e trascendentale, tra essere ed ente, tra essenza ed esistenza. Diventa necessaria una nuova radicalità sulla natura del sentire e del sensibile. Si impone di pensare in nuovo modo l’unità di intuizione categoriale e intuizione eidetica.
L’evidenza obliqua di un orizzonte – con le varie declinazioni con cui essa opera in tanti rami dell’invenzione filosofica – smette la sua centralità. Lo stesso campo dell’impersonale, così assiduo nella reazione al soggetto sovrano nell’ultimo secolo, incontra una reazione teorica nella logica della scena del dato, nella dissociazione tra un io e un soggetto, nella simultaneità di un altro e di un dato.
Il sentito non si limita ad accadere tra il sentire e la sensazione. Un suono che arriva al mio organo sensibile subisce la medesima piega che accade al suono della lingua. È in fondo sorprendente, anche se del tutto spiegabile, il disinteresse della filosofia del linguaggio nei confronti della piega dialettale che la comunicazione linguistica tende ad assumere. La domanda impegnativa dovrebbe essere la seguente: perché il suono della lingua, in una comunità linguistica, tende a flettersi in una singolarità dialettale, tende cioè ad assumere un connotato tipico, quindi un contrassegno parergonale? La questione dovrebbe essere interrogata a fondo poiché dovremmo almeno sospettare che ciò che accade alla superficie dei suoni, in una parlata di un gruppo linguistico segua la medesima legge di ciò che accade alla superficie degli enti. Questa piegatura di suono o figura di suono ci dice intanto che la pura differenzialità fonematica non esaurisce il lavoro del segno in relazione al senso linguistico. Il suono linguistico si trova attraversato da due assi cartesiani, sul primo differisce nella logica della presenza-assenza, del pieno e del vuoto, sul secondo risente della presenza dell’altro in una certa piega parergonale. Questa risonanza dispiega un’immagine-figura di suono: al confine dei due campi di suono, tra suono pronunciato e suono restituito si stabilisce un’immagine di suono in cui la sonorità tende a somigliarsi. Non si tratta di un suono comune tra i due suoni ma di una sorta di mimesi di un suono con l’altro; una mimesi che restituisce a ciascuno la singolarità dell’altro. In questo modo il suono si condivide per somiglianza, la quale ha il suo metro non nella simiglianza, ma nella mimesi in cui una singolarità trova la sua marcatura. In questa figura-immagine il suono si espone pubblicamente, diventa opera comune nel punto stesso in cui perde la proprietà semplicemente soggettiva della sensazione di suono.