Una guerra di meraviglie?
Realtà e immaginario tecnologico
nelle riviste illustrate della Prima guerra mondiale
Uccelli di legno e cuoio che spiccano il volo. Filamenti di carbonio che squarciano l’oscurità delle strade cittadine. Parole e suoni che, attraverso fili di rame o volando nell’etere, attraversano i continenti. Per alcuni decenni, tra la seconda metà dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, e per i fortunati (occidentali e benestanti) che potevano godere delle nuove meraviglie della tecnica, tutto sembrava possibile. Poi venne la guerra.
La prima guerra mondiale non mise certamente fine al “progresso” tecnologico: i campi di battaglia videro anzi l’applicazione di tutte le maggiori scoperte della seconda rivoluzione industriale, dal telefono al motore a scoppio, dalla chimica alla medicina, alle nuove tecniche di produzione industriale e gestione della forza lavoro. Le tecnologie coinvolte uscirono dalla trincea perfezionate (si pensi all’aereo o al sommergibile), rivoluzionate (si pensi alla radio, al filo spinato o ai gas tossici) e pronte per una nuova guerra. Alcune tecnologie che sarebbero state centrali nei conflitti successivi, come il carro armato, l’aereo bombardiere e la mitragliatrice leggera, ebbero i propri natali durante il conflitto.
Ma i massacri tecnologici della prima guerra mondiale misero fine al Progresso positivista, alla incrollabile certezza che all’evoluzione della scienza e della tecnica corrispondesse, per forza di cose, un’evoluzione della Civiltà. I soldati mutilati o resi pazzi dall’artiglieria, il profilo del dirigibile nel cielo notturno, gli occhi dilatati e inespressivi della maschera antigas divennero simbolo di un “progresso” tecnologico sinonimo di barbarie. Alla fine della guerra tutto sembrava possibile. Anche gli incubi.
Dall’Introduzione di Federico Mazzini