Ilaria Malagrinò, Alterità e relazione nell’esperienza della gravidanza. Dall’ermeneutica all’etica
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La gravidanza è una tappa speciale, unica nella vita di ogni uomo e donna. Profondamente marchiata dal sigillo del novum ad ogni fase del suo processo, è teatro di continui cambiamenti che si verificano in tutti gli attori in essa coinvolti. Il nuovo individuo, infatti, così come la donna e l’uomo che l’hanno generato, dalla fecondazione in poi, si trovano inseriti in un movimento relazionale di intima costruzione e ristrutturazione della propria identità. Movimento che li vedrà apparire come figlio, madre e padre, determinando in essi una “maturazione” irreversibile e segnandoli per tutta la vita. Una gestazione, dunque, non sembra qualificarsi quale processo più o meno unilaterale di azione e reazione, quanto piuttosto come articolazione della separazione tra due identità umane in una mutualità che non è soltanto corporea, ma primariamente carnale. Tale tensione costitutiva verso un’unità relazionale, declinata come “articolazione delle differenze”, sembra esprimersi come un percorso progressivo di riconoscimento biologico, psichico e biografico, in cui l’altro non è mai colto come analogo dell’io. Come dire, una sfida continua per il pensiero contemporaneo, posto di fronte alla necessità sempre più cogente di dar forma alle narrazioni di un agire tecno-scientifico, che, introducendo nel dibattito mediatico categorie ben definite e “sostenibili” proprio per la loro semplicità, inevitabilmente rendono più difficile l’accesso al significato profondo della gravidanza, con il rischio di legittimare, indirettamente, nuove forme di violenza e sfruttamento.