Perché nella seconda scena dell’Oro del Reno Fasolt impiega così tanto tempo a replicare all’offesa bruciante di Wotan? Quali complicazioni dialettiche si annidano nella metafora «la musica è una donna» formulata da Wagner in Opera e dramma? E perché venti giorni prima di morire confidò alla moglie Cosima di essere «rimasto debitore al mondo di Tannhäuser»? Sono alcune delle domande cui viene data risposta negli scritti raccolti nel presente volume, frutto di ricerche condotte nell’arco di un ventennio. Agli studi di maggiore impegno si affiancano articoli più agili dedicati a vari aspetti della drammaturgia e dell’estetica wagneriane, e testi di carattere divulgativo, nati perlopiù come programmi di sala per i maggiori teatri italiani: presentazioni dei drammi e rassegne critiche della smisurata bibliografia accumulatasi sul più influente drammaturgo musicale della modernità.
Se esaminiamo più attentamente ciò che v’è di caratteristico nell’arte di un eccellente attore, ci meravigliamo d’incontrarvi gli elementi fondamentali d’ogni altra arte nella loro più grande varietà e con una forza non raggiungibile da alcun’altra arte. Come l’artista figurativo plasma copiando la natura, così il mimo la imita fino a raggiungere la massima illusione ed esercita con ciò un potente influsso in tutto simile a quello che egli esercita su se stesso, sulla sua persona fisica come sul suo intimo sentimento. A questo potente, anzi prepotente effetto nessun’altra arte potrà mai arrivare; infatti il meraviglioso, qui, è che la finzione viene ammessa e accettata da ambo le parti. Viene assolutamente esclusa ogni miscela di interessi realistici e patologici, che distruggerebbe immediatamente l’illusione, e tuttavia i fatti e le azioni rappresentate, i personaggi puramente inventati, ci scuotono al modo medesimo che l’attore stesso è preso, anzi posseduto, da essi, fino a sopprimere totalmente la sua personalità reale. Alla fine d’una rappresentazione del Re Lear con Ludwig Devrient il pubblico berlinese rimase ancora per un tratto di tempo come ipnotizzato al suo posto; e non con i soliti applausi, con il solito entusiasmo urlante e tumultuante, ma senza neppur fiatare, in silenzio, quasi immobile, come soggiogato da un incantesimo, contro il quale nessuno aveva la forza di reagire: sembrava a tutti inconcepibile di dover tornarsene a casa e rientrare nel binario di una consuetudine di vita, dalla quale si sentivano trasportanti indicibilmente lontano. Qui l’effetto aveva raggiunto, innegabilmente, il suo più alto livello, quello del sublime.