Veronica Petito insegna Etica e Storia della filosofia presso la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale (Sez. San Luigi, Napoli). Il suo ambito di interesse riguarda soprattutto il pensiero ebraico del ’900 e la fenomenologia husserliana. Al suo attivo numerose pubblicazioni su E. Levinas, E. Husserl, E. Stein, H. Arendt.
Il libero esercizio della ragione rappresenta da sempre la contestazione di ogni tirannide, la ricerca di una libertà, compresa dentro una più alta legge morale, contro il dominio dell’arbitrio. In questa ricerca la volontà libera trova un ordine della ragione e si pone come nuovo inizio dell’agire nel tempo e nella storia. La comunità umana può così riconoscersi in una medesima “ragione comune” e la riflessione può andare oltre, cercare in che modo sia possibile l’insorgere di questa legge morale dentro di noi. In questo modo, la questione morale, in cui si colloca la domanda sulla giustizia, rappresenta la fine e l’inizio di ogni filosofia “pratica”.
Il dialogo filosofico porta in sé, sin dalle origini, il problema della giustizia: la domanda sul vero è sempre, insieme, domanda sul bene, spazio di un nuovo discorso, che intende affermarsi e realizzarsi nella polis quasi come la realizzazione di un’utopia. È dalla dialettica socratica che emerge il conflitto aperto tra il filosofo e la polis, tra il senso comune e l’esercizio del pensiero. La prima grande estromissione della filosofia dalla politica segna l’inizio di una nuova tradizione di pensiero.
In questo contesto, Platone prova a ricongiungere i filosofi e la polis, immaginando, nella Repubblica, uno Stato ideale a partire dalla composizione dell’anima e dalle sue lacerazioni. La costruzione della Città ideale rappresenta quell’equilibrio che consente non solo il vivere, ma il vivere bene, affrancando l’uomo dalla necessità e dal bisogno.