Umberto Curi, Veritas indaganda

L’immagine della verità come qualcosa di dato e posseduto contrasta, secondo Umberto Curi, con quanto è possibile ritrovare sia nella tradizione giudaico-cristiana che nella cultura greca. La verità non è infatti il culmine di un’attività di carattere teoretico-conoscitivo bensì qualcosa di pratico, di connesso alla libertà, che esige un processo di infinita investigazione e conflitto.

Il percorso sulla verità suggerito da Curi attraversa l’incontro di Gesù con Pilato, la Repubblica di Platone, i frammenti postumi di Nietzsche, e giunge fino a Heidegger e alla sua illuminante lettura del mito della caverna. La verità non è un quieto possesso… ma accade solo nella storia della continua liberazione, la quale si consegue veramente non rimanendo a contemplare il sole, ma ritornando nella caverna per diventare attivi liberatori dalle ombre.

Il mito della caverna

Anche se la trattazione svolta all’inizio del VII libro della Politeia può sembrare ampiamente nota e più volte interpretata e commentata, cercherò di dimostrare che, nonostante la larga diffusione di questo mito, persistono ancora numerosi equivoci, o vere e proprie distorsioni o fraintendimenti, per quanto riguarda l’interpretazione filosofica del mito e soprattutto per quanto riguarda la nozione di verità che è esposta in quelle pagine. Proverò a procedere schematicamente per punti, per rendere più chiaro e intelligibile il ragionamento che intendo proporre.

Importante è anzitutto l’esordio. Platone invita a riconoscere nell’immagine che sta per descrivere la anthropíne phýsis, la natura umana e cioè, ciò che noi siamo per nascita, in conseguenza della nostra nascita – relativamente alla conoscenza e all’ignoranza. Ciascuno di noi, se ne renda conto o meno, si trova originariamente nella caverna – siamo sempre nella caverna – di lì partiamo. La nostra natura, ciò che noi siamo per nascita, è come quella di chi viva da sempre sul fondo di una caverna, e sia dunque incapace di vedere altro, se non le ombre che si proiettano sulla parete di fondo della dimora sotterranea.

La condizione umana originaria è dunque quella dell’ignoranza, dell’incoscienza, ma anche della malattia e soprattutto della schiavitù. Sia pure per inciso, si può qui notare che la condizione originaria nella quale ci troviamo coincide con quella di una figura estremamente pregnante della mitologia greca. Come Edipo, infatti, anche i prigionieri della caverna, e dunque anche noi, siamo impediti e accecati, impossibilitati a muoverci, menomati nei piedi, e privati della vista. Si potrebbe anche aggiungere che tra gli abitanti della caverna platonica vi sono anche altre figure: non solo Edipo, ma anche Narciso, anche Orfeo, vale a dire personaggi vittime in modi diversi di una menomazione connessa alla vista.

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