Valentina Carella è docente di storia e filosofia presso il liceo classico Vittorio Emanuele II di Jesi ed è cultore della materia (Filosofia politica e Filosofia morale) presso l’Università degli Studi di Macerata, dove nel 2019 ha conseguito il dottorato. La sua attività di ricerca assume il pensiero fenomenologico, in particolare quello di Edmund Husserl, come chiave di lettura feconda per ripensare alcune delle questioni legate all’etica ambientale e alle pratiche di sostenibilità.
La riflessione filosofica attorno all’ambiente è, tutto sommato, recente. Fino a non molti decenni fa, esso era per lo più considerato dal pensiero filosofico (ma non solo) nei termini di un oggetto privo di carattere morale, di cui l’uomo poteva disporre per i propri scopi. Così, ad esempio, nelle Sentenze di Pietro Lombardo si legge che «[c]ome l’uomo è fatto per il bene di Dio, ovvero per servirlo, così il mondo è fatto per il bene dell’uomo perché possa servirsene»: il mondo esterno esiste per essere di aiuto (materiale, ma non solo) all’essere umano. Peraltro, a partire in modo particolare dall’età moderna, molte dottrine etiche e filosofiche avevano indicato nella trasformazione della natura da parte dell’uomo il principale orizzonte teleologico della storia. L’avanzamento del progresso coincideva, così, con l’avanzamento della tecnologia, intesa come mezzo attraverso il quale trasformare il mondo esterno per farlo funzionare in modo più conforme agli interessi degli esseri umani: coincideva, in altre parole, con il dominio raggiunto da questi ultimi, grazie ai loro prodotti tecnologici, nei confronti rispettivamente degli altri esseri viventi e dell’ambiente. Nel corso di questa impresa trasformativa poteva accadere (e spesso è effettivamente accaduto) di rovinare o, addirittura, perdere intere specie viventi, corsi d’acqua, foreste o altri ecosistemi e habitat naturali: ciò non rappresentava affatto un problema sotto il profilo morale.