Umberto Curi

Umberto Curi è professore emerito di Storia della filosofia nell’Università di Padova. Ha diretto per molti anni l’Istituto Gramsci Veneto e ha fatto parte del Consiglio direttivo della Biennale di Venezia. Nella sua vasta produzione si segnalano, tra l’altro, l’approfondimento del nesso politica-guerra e quello del concetto greco di mito, inteso come racconto, che lo ha portato a un’originale interpretazione filosofica della produzione cinematografica. Tra le sue opere, ricordiamo: La cognizione dell’amore. Eros e filosofia (1997); Pensare la guerra. L’Europa e il destino della politica(1999); Pólemos. Filosofia come guerra, (2000); Endiadi. Figure della duplicità (2000 – nuova edizione 2015); Filosofia del Don Giovanni. Alle origini di un mito moderno (2002); La forza dello sguardo (2004); Meglio non essere nati. La condizione umana tra Eschilo e Nietzsche (2008); Miti d’amore. Filosofia dell’eros (2009); Straniero (2010). Su cinema e filosofia: Lo schermo del pensiero. Cinema e filosofia (2000); Ombre delle idee. Filosofia del cinema fra «American beauty» e «Parla con lei» (2002); Un filosofo al cinema (2006); L’immagine-pensiero. Tra Fellini, Wilder e Wenders: un viaggio filosofico (2009). I volumi più recenti sono: Passione (2013); L’apparire del bello (2013); La porta stretta. Come diventare maggiorenni (2015); I figli di Ares. Guerra infinita e terrorismo (2016); Le parole della cura. Medicina e filosofia (2017). Recentemente ha anche curato la raccolta di saggi Vergogna ed esclusione. L’Europa di fronte alla sfida dell’emigrazione (2017).

La bellezza nel mondo greco

Vi è una caratteristica fondamentale della bellezza nel mondo greco arcaico, sulla quale io credo sia conveniente indugiare un po’. Ci si ricorderà sicuramente del fatto che, a differenza della lingua italiana, in cui vi è un solo termine per indicare sia il tempo in senso meteorologico sia il tempo in senso cronologico, i Greci hanno ben quattro termini diversi per indicare le diverse e irriducibili declinazioni del tempo cronologico. Essi riconoscono anzitutto che c’è il tempo come chrónos, cioè il tempo che misura la successione del divenire, il tempo quantitativo, quello che oggi misuriamo con gli orologi. C’è poi il tempo come aión, coincidente con la durata, cioè con il sempre essente, con l’eternità dei cieli o degli dei. C’è inoltre il tempo che coincide con una durata ciclica, ed è l’eniautós, il “grande anno”, un periodo di lunghezza variabile (per lo più, nove anni o multipli). Infine, c’è una quarta e particolarmente originale e significativa accezione di tempo che ritroviamo in una pluralità di documenti in connessione con la nozione di kalòn. Anzi c’è una sentenza, una ghnóme, che troviamo più volte ripetuta dal VII secolo fino al III secolo a.C., e che a me pare particolarmente significativa per la concezione greco-antica di bellezza. La troviamo espressa nell’Edipo re di Sofocle (v. 1516) nel modo seguente: “Pánta gar kairò kalà”, ossia “tutto è bello nel kairòs”, che è appunto la quarta accezione di tempo a cui volevo riferirmi.

Appuntamenti

201931dic6:00 pmIntervista a Umberto Curi: Pensare per immaginiIntervista di Marco Pacioni6:00 pm OperaViva, RomaAppuntamenti:Umberto Curi

201914dic6:00 pmMacro: Pensare per immagini. Cinema è filosofiaLezione magistrale di Umberto Curi6:00 pm Macro, RomaAppuntamenti:Umberto Curi

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