Toni Negri (1933), filosofo, politico, attivista, cofondatore e ideologo di Potere operaio e di Autonomia operaia, è tra i più noti pensatori e teorici dell’estrema sinistra italiana tra la fine degli anni Sessanta e gli anni Ottanta.
Non è necessario essere lettori attenti per capire che il ciclo della rivoluzione si è riaperto nel ’68, per raggiungere uno dei suoi punti di più forte intensità. Quello che era solo un’indicazione nel ’17, quello che le lotte di liberazione nazionale non sono arrivate a instaurare in modo durevole, il 1968 l’ha messo in luce come possibilità immediata della coscienza e della prassi collettiva. Sì, il comunismo è possibile e, oggi più di ieri, ossessiona il vecchio mondo. Nel ’68, è venuta in piena luce la fragilità dei “contratti sociali” instaurati successivamente per contenere i movimenti rivoluzionari dell’inizio del secolo, quelli che seguirono la grande crisi del ’29 e quelli che hanno accompagnato e seguito la II grande guerra imperialista. Qualunque sia l’angolo sotto il quale si considerano questi avvenimenti, essi hanno incontestabilmente rivelato come quel “contratto” non avesse affatto eliminato o superato le contraddizioni antagonistiche dei sistemi capitalistici.
Esamineremo adesso le tre serie di trasformazioni materiali che riguardano la qualità, le dimensioni e la forma del “produrre” capitalistico, sforzandoci di mettere in rilievo il nuovo dato oggettivo su cui si troveranno a confrontarsi, nei prossimi anni, i dispositivi rivoluzionari.
La qualità del produrre. La lotta tra le classi proletarie e quelle dei padroni capitalisti e/o socialisti aveva prodotto un contesto di produzione sempre più integrato e massificato. L’impossibilità di controllare razionalmente le crisi, che rivelava la persistenza di una bipolarizzazione sociale dei poteri, aveva indotto il processo di una gestione relativamente pianificata, quantomeno fortemente centralizzata, delle economie capitaliste e socialiste.