Thomas si sedette e guardò il mare

Thomas si sedette e guardò il mare: per la prima volta, invece di fare il bagno, rimase sulla riva, come sulla soglia dell’amore o all’inizio dell’odio, quando né l’abbraccio né il morso sono ancora appropriati. Gli bastò pensare ai mille gorghi dell’acqua e ai giochi che avrebbero ispirato al suo corpo che nuotava. Riusciva a sentire con la mente l’acqua salata che un’oscillazione maldestra o l’audacia dell’onda gli avrebbero fatto bere. Meravigliosamente sostenuto da un pensiero, nuotò audacemente verso il mare aperto, dando a ciascuna delle sue membra l’inflessione esatta, la forza astuta che permetteva loro di perforare una montagna e di poggiarsi su un abisso. A volte, all’improvviso, il mare si svuotava sotto di lui: dietro alla sua terra, che sentiva fuggire davanti al suo corpo, aspettava con una speranza incrollabile il ritorno preciso di nuovi abbracci, di nuove assenze, in cui avanzava cadendo. Poi, sempre sdraiato sui ciottoli della spiaggia, percepì i primi pericoli della fatica; i movimenti che diventano più forti, quando le membra che li conducono si indeboliscono, il vigore raddoppiato, segno di prossimi abbandoni, le braccia che colpiscono l’acqua con rabbia, la testa lanciata a destra e a sinistra, senza grazia, come un peso inutile e tanto più pesante, tutto quel sistema disordinato di forza e potenza che, per un nemico, segna l’ora della resa e, per l’uomo, l’ora della morte. Attese il momento in cui il corpo non era altro che una massa di elementi che si difendeva. Ostacolato in egual misura dal movimento e dall’immobilità, cominciò a lottare con rabbia, indifferenza, disperazione: le forze che gli ostacoli dell’acqua gli lasciavano, degradate dall’incoerenza, devastate dal delirio, trovarono infine in lui un nemico invincibile; il mare aveva raggiunto il suo massimo grado di potenza, che nell’immensità e nell’inesauribile potenza delle onde è l’essere concepito dalla mente e riflesso in immagini immateriali, ed egli aveva solo la passione di abbandonarsi: si abbandonava alla sua anima e al mare uniti.

Nel momento in cui sognava le apparenze della morte, non si rendeva conto che aveva appena subito una morte reale e che l’immagine del suo corpo inabissato lo stava consegnando a oscuri demoni di cui fino ad allora non aveva considerato l’esistenza. Si alzò stordito. Un vortice intorno ai passi continuava il disordine dei suoi sogni, elemento sottile in cui dimenticava di camminare per ritrovare i riflessi del nuotatore. Dopo aver partorito lui stesso un qualche dio del mare, una meravigliosa sirena, sarebbe tornato lentamente al cammino gravido di uomini. Ormai inutili, le sue mani conservavano la traccia di un’evoluzione incompleta e, pinne abituate a nuotare, erano insofferenti di rimanere inattive. Nelle orecchie, al posto del rumore terrestre delle carrozze e dei venditori di bibite, si rifrangeva il rumore del mare simile a un cembalo: nella sua testa, il rollio delle onde che si ritiravano. I piedi concepirono strane paure di fronte al terreno stabile e silenzioso, senza insidie e senza difetti, impassibile alla varietà dei passi e senza volontà. Ma il primo disagio giunse dalla sua mente: in piedi tra i bagnanti, distese al sole sul terreno di una terribile battaglia, vide schiene, cosce enormi, un intero stock di gambe già rannicchiate; seguì linee preziose dal contorno senza mistero; non perse le sfumature bronzee intarsiate nella pelle, dove un po’ di pallore e, sulle guance e sulla gola, un vero rosa suscitavano fauste reminiscenze; vide corpi che erano solo membra e teste che non erano nulla, ma non pensò di vedere uomini e di partecipare a ciò che vedeva. Senza quel fremito e quell’attenzione che al loro avvicinarsi fanno raddrizzare la testa, inclinare lo sguardo, provocare una segreta tensione nella spina dorsale fino alle vertebre più insignificanti, passò indifferente e con la tenuta più trasandata che si possa presentare agli uomini, quella di un corpo non fasciato dai muscoli e perfettamente aderente alla tunica della pelle. Immagine suprema della maleducazione e della scortesia, avanzava tra i suoi compagni come in un campo di pietre di cui teneva conto la sua camminata, non la sua andatura.

Sul volto non c’era alcun sorriso, nemmeno forzato, nessuna presenza odiosa o sarcastica, nessuna traccia di follia, nessun sintomo di delirio, e nessun segno di quelle varie follie in cui gli uomini amano vedere i segni dell’amore e delle altre passioni. Tutto ciò che si poteva riconoscere nel suo volto era uno sguardo, un gioco di fisionomia che può avere un significato solo in specie diverse dalla nostra; anche sul volto conservava una sorta di esistenza marina che spiegava la fissità glauca degli occhi e, nel movimento che avvicinava la bocca al naso, una bonomia stupida e certamente involontaria che conferisce ai pesci di media grandezza, tinche e carpe, un’aria perfettamente inumana. Forse anche lui soffriva per il caldo e per un sonno troppo a lungo trattenuto. Ma non sentiva nulla.

Quando Éveline, Geneviève e Louise passarono davanti alla sua ombra, rimase impassibile come se avesse improvvisamente acquisito la compostezza e il rispetto di sé che mancavano alla sua famiglia da due generazioni. Le guardò salire sulla spiaggia, tutte e tre della stessa altezza, ugualmente snelle e scoperte; si fermarono sulla cima con uno sguardo che significava chiaramente attesa, senza che lui sentisse l’impulso di correre da loro. Una si voltò a guardare il mare un’ultima volta, con un’impazienza negli occhi che scintillava di richiamo e volontà. La seconda lo guardò e in un attimo fu avvolto in una rete di amabili astuzie, sorrisi indistinti, occhi vaghi, tutto ciò che una bella donna può indossare di insignificante sul suo volto. Mai, da due generazioni a questa parte, un uomo della famiglia di Thomas aveva mancato di comprendere le promesse di questo discorso; e la mimica di indifferenza e disprezzo che adottò per rifiutarlo lo staccò subito da un’intera stirpe di persone amabili, infedeli e galanti, lasciandolo legato solo a un lontano antenato, dei tempi del primo Impero, ipocondriaco e misogino. Ma questa indifferenza, così meravigliosa, che sentì improvvisamente nascere nel suo cuore, non era ancora così salda da non essere scossa dall’attrazione di un’altra indifferenza: la schiena di Éveline, che non si era voltata, gli sembrava provvista di una tenerezza irresistibile; una massa compatta, senza parole, di cui comprendeva l’ostinazione, capace di cedere alle avances, non ai rifiuti ‒ e questa muta sollecitazione cominciò a pesargli come un’assenza. Come dopo un lungo svenimento, sentì tornare nell’anima i colori della curiosità e dell’amore; dapprima languido, in un secondo fu sopraffatto; e che paura scoprire dietro quella schiena ostinata un volto ostile, o i tratti regolari e perfetti della vera indifferenza. Affrettò il passo e poi, lasciandosi alle spalle il corpo distratto e trascurato, si mise a correre, con la febbre del moribondo che si crede guarito quando muore; man mano che procedeva, le forze che aveva pensato di aver accumulato per il piacere e per la vita andavano perdute; due metri dietro le tre ragazze che avevano ripreso la loro passeggiata, era diviso tra la sensazione di stanchezza e di intorpidimento che nascono insieme da un desiderio troppo vivo e da un disgusto che arriva rapidamente; quando arrivò alla loro altezza, pensò solo di lasciare.

‒ «Thomas», sentì gridare alle sue spalle. Agitò la mano in modo amichevole, un gesto di addio forse al suo passato e a se stesso, e si sentì di nuovo pesante, goffo e felice, come un uomo improvvisamente liberato da qualche male di cui ignorava l’esistenza.

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