Theodor Wiesengrund Adorno (1903-1969), filosofo, sociologo, musicologo, è considerato una delle principali figure di pensiero del Novecento. Esponente di spicco della Scuola di Francoforte, si è distinto per una critica radicale alla società e al capitalismo avanzato. Alla riflessione filosofico-sociologica ha affiancato per tutta la vita un’imponente attività musicologica. Tra le sue opere di carattere musicale si ricordano: Filosofia della musica moderna (1949), Wagner (1952), Dissonanze (1956), Mahler (1960), Il fido maestro sostituto (1963).
Il tono
È familiarmente noto dall’infanzia l’ultimo movimento della Sinfonia dell’addio di Haydn in fa diesis minore, quel brano in cui uno strumento dopo l’altro smette di suonare e si allontana, finché non restano che due violini e spengono la luce. Al di là dell’innocuo pretesto, e della dimensione che agli occhi di un’esecrabile familiarità appare come umorismo di “papà” Haydn, emerge l’intenzione di organizzare compositivamente l’addio, di dare forma allo svanire della musica e di realizzare una possibilità che, insita nella fugacità stessa del materiale sonoro, da sempre attendeva chi sarebbe penetrato nel suo segreto. Se si volge uno sguardo retrospettivo alla produzione di Alban Berg, che, se vivesse ancora, avrebbe più di ottant’anni, sembra che tutta la sua opera abbia voluto riprendere quella balenante intenzione di Haydn, plasmare la musica stessa a immagine dello svanire, con essa dire addio alla vita. Complicità con la morte, cortese benevolenza nei confronti della propria estinzione sono caratteri della sua opera. Solo chi muove dalla comprensione di questi caratteri, e non da premesse storico-stilistiche, intenderà bene la musica di Berg. Una delle sue composizioni più mature e compiute, la Suite lirica per quartetto d’archi, si chiude senza concludere, in una situazione aperta, senza le stanghette di battuta alla fine, con un motivo di terze della viola che secondo l’indicazione dell’autore può essere ripetuto ancora un paio di volte, fino a divenire del tutto inudibile. La mortale mestizia di questo scorrere via della musica, cui non è concesso alcun punto fermo, risuona come se da quello che in Haydn appariva ancora un gioco non pericoloso si fosse passati alla serietà di un infinito sconsolatamente aperto.