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La fuga può appartenere alle esperienze più svariate e per definizione non è anticipabile, si sottrae al perimetro di qualsiasi progetto. La fuga di solito è l’effetto prodotto da una macchina da guerra. La macchina da guerra non ha a che fare in primo luogo con azioni di belligeranza, non provoca necessariamente un conflitto, è semmai un modo peculiare di abitare lo spazio, «è nella sua essenza l’elemento costitutivo dello spazio liscio, dell’occupazione di questo spazio, dello spostamento in questo spazio e della composizione corrispondente degli uomini: è questo il suo solo e vero oggetto positivo (nomos)». Il nomos della macchina da guerra definisce un certo rapporto tra lo spazio e il molteplice di qualsiasi natura (inorganico, animale, antropologico, tecnologico ecc.) che lo riempie. La comprensione deleuziana di nomos è il controcanto della definizione che ne dà Carl Schmitt in un saggio del 1953. Per Schmitt nomos dice il modo in cui un gruppo umano prende possesso di uno spazio e lo organizza per la propria sussistenza…
Nell’articolo Cogito e storia della follia, apparso nel 1963 sulla Revue de Métaphysique et de Morale, Jacques Derrida si confronta con il progetto foucaultiano, sotteso alla Storia della follia nell’età classica, di restituire la parola alla follia rendendola pienamente soggetto del libro, cioè suo oggetto e autore. Esaminando in particolare la prefazione alla prima edizione del 1961 – prefazione che poi verrà stralciata dalle successive edizioni della Storia della follia –, Derrida riconosce a Foucault l’acuta consapevolezza di dover sfuggire, per realizzare la sua opera:
alla trappola o alla ingenuità oggettiviste che consisterebbero nello scrivere, nel linguaggio della ragione classica, utilizzando i concetti che sono stati gli strumenti storici di una cattura della follia, nel linguaggio coltivato e poliziesco della ragione, una storia della follia selvaggia, quale esiste e respira prima di essere presa e paralizzata nelle reti di quella stessa ragione classica.
Il tentativo foucaultiano di scrivere in un linguaggio non monologico e non dominato dalle coordinate teoriche della ragione classica si traduce secondo Derrida in due progetti completamente diversi…