Il pessimismo è una forma di pensiero bizzarra. Da una parte, i suoi assunti condannano il mondo e l’esistenza di ciascuno vedendoli come qualcosa che non dovrebbe affatto essere, entità votate alla disfatta o insignificanti granelli di un universo indifferente. Dall’altra, però, il pessimismo sembra ricavare da simili assunti una consolazione indiretta: rassegnarsi a vivere nel peggiore dei mondi possibili si tramuta in una paradossale forma di conforto, una prassi per alleviare i nostri mali. Il pensiero pessimo si trasforma in una verità ultima sul tutto che ripropone anziché demolire la prospettiva di un senso universale. Lacan sembrava essersi accorto di un simile problema. Anziché sbarazzarsi del pessimismo tuttavia, egli decide di invitarlo sul lettino dell’analista. Quel che ne risulta è un’analisi inconscia del pensiero del peggio, un pessimismo della libera associazione che si esprime per motivi, variazioni e piccole differenze. Un pessimismo al di là del pessimismo che, indagando se stesso e i propri sintomi, getta una nuova luce anche sulla psicoanalisi. Questi scritti sono un resoconto di tale analisi.
Nessun altro psicoanalista ha insistito quanto Lacan sulla necessità di preservare la funzione del soggetto in psicoanalisi, facendo di quest’ultima un primato etico ancor prima che teorico. Che la psicoanalisi si rivolga a soggetti prima che a persone, individui o pazienti, significa anteporre la singolarità dell’esperienza e dei vissuti dell’analizzante a ogni altro sistema (morale, culturale, psicologico) che potrebbe contraffare la contingenza della soggettività, disperdendola in un apparato di norme e prescrizioni generiche. Il metodo della libera associazione, accompagnato al precetto freudiano dell’analista senza memoria e senza desiderio, è prima di tutto un metodo di setaccio del soggetto, di astrazione di come l’inconscio è potuto essere (della disposizione delle contingenze dell’analizzante rispetto alla sua provenienza socio-culturale e alle norme che influenzano e incidono sul lavoro del significante) dal suo come dovrebbe essere (il diktat psicoterapeutico della normalizzazione delle coscienze, della correzione delle attitudini e delle inclinazioni da riconvertire in schemi predefiniti). Nel Seminario VI, Lacan dice che la psicoanalisi avrebbe seguito il solco dell’umanesimo proprio là dove esso aveva maggiormente ragione, rivolgendosi all’«uomo» come a un costrutto sempre «già simbolizzato», carico di tutta una serie di titoli e riconoscimenti. Da qui il caveat etico dell’analisi: il soggetto dell’inconscio «non è identificabile con nessuno dei [suoi] ruoli storici». Piuttosto, il soggetto è «quella cosa evanescente» che «corre» sotto il concatenamento di tali ruoli, la cifra necessaria e irriducibile che precede ogni sua determinazione supplementare.