Questo libro raccoglie gli scritti di Simone Weil militante nel movimento operaio e commentatrice critica di Marx e del marxismo. I testi qui riuniti – molti pubblicati, altri rimasti inediti lei viva, con titolo originale o postumo, alcuni occasionali, altri maturati nel tempo, tutti compresi nel decennio 1933-43 – sono attraversati da temi alcuni dei quali arrivano direttamente fino a noi o sono traducibili nel nostro presente. Tra questi, mettiamo al primo posto quello dei rapporti tra l’individuo, da una parte, e la collettività, la società, le masse, dall’altra. Scrive Weil: «non dimentichiamo che noi vogliamo fare dell’individuo e non della collettività il valore supremo» per cui «la subordinazione della società all’individuo, ecco la definizione della vera democrazia e anche quella del socialismo». Questa netta presa di posizione, che nei primi anni Trenta Weil condivide con i militanti del sindacalismo rivoluzionario, per capirne il significato tutt’altro che individualista, va messa in rapporto a una scoperta politica tutt’ora valida. Simone Weil ha scoperto l’esistenza di un potere oppressivo che si sviluppa con le esigenze stesse di organizzare e di coordinare, a cominciare dallo Stato con il suo apparato burocratico, poliziesco e militare (segnalato già da Marx), che si estende alla produzione, come potere della nascente tecnocrazia (non considerato da Marx), di suo indipendente dal regime capitalistico. E che arriva a compenetrare le stesse organizzazioni di massa che lottano contro il capitalismo. Per prima Weil si rese conto che stava prendendo piede la dittatura di un potere trasversale e senza nome, presente nel funzionamento dello Stato, nell’organizzazione della produzione come anche nei partiti e nei sindacati, e che struttura l’intera società.
Fino a oggi, tutti coloro che hanno tentato di sostenere il loro sentimenti rivoluzionari con delle concezioni precise, le hanno trovate o creduto di trovarle in Marx. È inteso una volta per tutte che Marx, grazie alla sua teoria generale della storia e alla sua analisi della società borghese, ha dimostrato la necessità ineluttabile di un prossimo sconvolgimento durante il quale l’oppressione, che il regime capitalista ci fa subire, verrà abolita; ma, proprio a forza di esserne persuasi, ci si dispensa, in genere, dall’esaminare più da vicino la sua dimostrazione. Il «socialismo scientifico» è passato allo stato di dogma, esattamente come succede con tutti i risultati ottenuti dalla scienza moderna, risultati ai quali ciascuno ritiene di dover credere, senza mai pensare di metterne al vaglio il metodo. Per quanto riguarda Marx, non appena si cerca di assimilare veramente la sua dimostrazione, ci si accorge subito che essa comporta assai più difficoltà di quanto i propagandisti del «socialismo scientifico» non ne lascino supporre.
Bisogna ammettere che Marx rende ammirevolmente conto del meccanismo dell’oppressione capitalista; a tal punto, però, che si stenta a immaginare come un tale meccanismo potrebbe cessare di funzionare. Di solito, di questa oppressione non si considera che l’aspetto economico, e cioè l’estorsione del plus-valore; e, se ci si limita a questo punto di vista, è certamente facile spiegare alle masse come essa è legata alla concorrenza, legata a sua volta alla proprietà privata, e che il giorno in cui la proprietà diventerà collettiva, tutto andrà per il meglio. Tuttavia, anche nei limiti di questo ragionamento apparentemente semplice, un più attento esame fa sorgere mille difficoltà. Marx ha perfettamente dimostrato che la vera ragione dello sfruttamento dei lavoratori non è il desiderio che avrebbero i capitalisti di godere e di consumare, bensì la necessità di ingrandire l’impresa il più rapidamente possibile per renderla più potente delle sue concorrenti. Ora non è soltanto l’impresa, ma ogni specie di collettività lavoratrice che abbia bisogno di restringere al massimo il consumo dei propri membri per consacrare la maggior parte del tempo a forgiarsi le armi contro le collettività rivali; al punto che fintantoché vi sarà, sulla faccia della terra, una lotta per la potenza, e fintantoché il fattore decisivo della vittoria sarà la produzione industriale, gli operai saranno sfruttati. A dire il vero, Marx supponeva precisamente, senza tuttavia dimostrarlo, che ogni specie di lotta per la potenza scomparirà il giorno in cui il socialismo sarà stabilito in tutti i paesi industrializzati; il solo male è però che, come Marx stesso aveva riconosciuto, la rivoluzione non si può fare dappertutto in una volta, e che, quando è fatta in un paese, essa non sopprime, anzi accentua la necessità di sfruttare ed opprimere le masse lavoratrici per la paura di finire per essere più deboli degli altri Stati. La storia della rivoluzione russa costituisce una dolorosa illustrazione di questo fatto.