Silvia Vizzardelli insegna Estetica nel Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università della Calabria. Suo ambito di ricerca è il rapporto tra estetica e psicoanalisi. È docente della Scuola di specializzazione post-laurea per medici e psicologi in Psicoterapia psicoanalitica (Psicomed). Tre le sue pubblicazioni più recenti: Io mi lascio cadere. Estetica e psicoanalisi (Macerata 2014), e per Orthotes La tentazione dello spazio. Estetica e psicoanalisi dell’inorganico (con Valentina De Filippis, 2016).
L’inerte consolazione
Ci sono situazioni della vita comune che passano completamente inosservate, perché sono fragili, difficili da catturare e soprattutto perché la loro ambiguità e complessità le rende soggette a essere risucchiate dalle prepotenti macroaree dell’esperienza. Eccone un esempio. Stiamo passeggiando in città più o meno assorti nei nostri pensieri o concitati per la pressione di incombenze pratiche. All’improvviso, cominciamo a prestare attenzione al rumore dei nostri passi e sentiamo crescere la sensazione che quei passi, con il loro lieve rimbombo, ci facciano compagnia, siano una presenza rassicurante prodotta da noi stessi, ma avvertita come qualcosa che ci accompagna da fuori, quasi fosse una presenza animata-inanimata che ci cammina a fianco. Di fronte a questa semplice esperienza, viene quasi naturale esibire le nostre pronte interpretazioni. E allora qualcuno direbbe che si tratta di un esempio di narcisismo dispiegato, di solipsistico godimento di sé, qualcun altro di una forma di delirio animistico per cui scambiamo il rumore prodotto dai nostri passi con la voce di un’altra persona o con il segno di una presenza viva accanto a noi, qualcun altro ancora penserebbe di aver varcato la soglia di tutti i dualismi e di aver finalmente portato soggettività e mondo allo stato di una assoluta coincidenza.