Sara Brotto insegna Lingue e Letterature Straniere, Inglese e Tedesco, nelle scuole secondarie superiori della provincia di Vicenza. Ha frequentato corsi di lingue e civiltà straniere presso varie istituzioni e università estere, fra cui un anno come Exchange Abroad Student in Comparative Literature presso la Graduate School dell’University of California, Berkeley. Ha conseguito la seconda laurea in Scienze filosofiche, specializzandosi in Bioetica, presso l’Università “Ca’ Foscari” di Venezia. I suoi ambiti di interesse ruotano attorno alla filosofia morale e alla bioetica.
Ambito storico-semantico della parola cura
Nel vocabolario platonico ed ellenistico, per significare la cura, compare la parola epimeleia, che designa la cura come sollecitudine, attenzione, occupazione, ma anche scienza. In realtà, il termine inglobava anche l’indicazione di una serie di pratiche di auto-formazione: il dialogare con se stessi, il meditare sulle esperienze passate per comprenderne il senso, lo scrivere i propri pensieri e le proprie emozioni, in modo tale da poter disporre del materiale necessario per arrivare a una conoscenza di sé continuativa. Basti pensare al famoso conosci te stesso socratico. Ma la cura di sé – epimeleia heautou – nel mondo antico significava anche dedicarsi a dare forma etica ed estetica alla propria vita, ovvero inventarsi la vita. Il greco antico aveva due termini per significare la vita: zoe, la vita come rigenerazione delle forme viventi, e bios, un segmento di zoe designante la singolarizzazione della vita che, come forma definita, era destinata a dissolversi. Proprio in bios stanno tutte le nostre vite, caratterizzate dalla finitudine, da cui consegue che ciò che ci spetta è solo l’amministrazione della durata attraverso il far fiorire e la trasformazione della base biologica in esistenza. Tale amministrazione è propriamente un’attività etica, ma – poiché l’ethos dà forma – è anche una operazione estetica.
Nel mondo greco antico il conosci te stesso era quindi la prima azione per praticare la cura di sé. A tal proposito significativo è l’Alcibiade Primo di Platone, ove la cura di sé del giovane che si appresta a entrare nella vita politica attiva e a esercitare il suo potere diviene assolutamente necessaria. Il concetto di cura che ci viene trasmesso, in questo caso, da Platone è quello di cura come possibile risposta a un bisogno umano di trascendersi, di andare oltre sé, indice della permanente apertura all’ulteriorità dell’esperienza che ogni singolo essere umano sente e patisce a causa della sua condizione ontologica di essere manchevole.