Con l’espressione discepolo di seconda mano Kierkegaard si riferiva a coloro che, per contingenza storica, si rapportano alla figura del Maestro in maniera indiretta, non essendo stati suoi “contemporanei”. Nelle pagine di questo libro i panni del Maestro sono vestiti da Søren Kierkegaard, e quelli di discepoli secondari da una nuova generazione di giovani studiosi del filosofo danese. Tuttavia la silloge raggruppa anche una serie di saggi di studiosi appartenenti a generazioni precedenti. Tale separazione non deve suscitare però alcuna perplessità perché, come Kierkegaard ravvisa, non esiste né un discepolo di seconda mano né un discepolo contemporaneo, e ogni generazione che precede fa da battistrada e “occasione” alla generazione successiva la quale, senza lasciarsi sopraffare dallo spavento del peso da portare, deve al contrario «correre col vento in poppa».
Saggi di: Antonella Fimiani, Alessandra Granito, Laura Liva, Gordon Marino, Umberto Regina, Federica Scorolli, Jon Stewart, Anna Valentinetti
Il bisogno di una seconda etica
Nei manuali di storia della filosofia il pensiero di Kierkegaard viene di solito proposto come sequenza delle tre «sfere-dell’esistenza» [Existents-Sphærer]: «estetica», «etica», «religiosa». Si tratta di sfere, di orizzonti autonomi, non di momenti di una vicenda dialettica idonea a produrre il progressivo «superamento» dell’estetica nell’etica e di questa nella religiosità. Tali sfere sono separate da luoghi di «confine» – rispettivamente l’«ironia» e lo «humor» – sostando nei quali è dato di cogliere l’illegittimità dell’estetica quando solleva pretese etiche, e dell’etica quando tenta di farsi religione. A quest’ultima si perviene solo con il «salto» della fede. Sia l’etica sia l’estetica sono autoreferenziali quanto a contenuti concettuali; in esse ci si può muovere solo restando nell’immanenza, mentre la religione è rapporto del singolo esistente con il Trascendente. L’estetica è solitamente paga di restare nei limiti della sensibilità; non così l’etica. Questa, quando pone all’uomo leggi, doveri, «imperativi categorici», ritiene di liberarlo da ogni condizionamento empirico, e dunque da ogni egoismo.