Il volume intende offrire un’esposizione sintetica di alcune delle trattazioni più significative della tematica delle virtù e della saggezza pratica di matrice aristotelica nel pensiero contemporaneo anglosassone, concentrandosi, in particolare, sul tema dell’attenzione nel pensiero di Iris Murdoch e nella sua ripresa da parte di Cora Diamond e, indirettamente, di Simone Weil. Grazie a quest’indagine, si cerca di evidenziare le ragioni per le quali la ripresa della saggezza pratica, delle sue valenze anche epistemologiche, e con essa del tema dell’attenzione assuma oggi un ruolo determinante nell’esperienza morale e nella riflessione su di essa. In generale, si intende suggerire che l’attenzione all’esperienza morale in atto permette di arricchire il discorso filosofico in etica, consentendo di passare da un discorso “breve”, essenzializzato e quasi scarnificato al fine di trovare un punto minimale di contatto fra gli uomini in una società pluralistica, ad un discorso “lungo” di carattere narrativo che permetta un confronto certo rischioso, ma motivato e arricchente fra uomini che aderiscono anche a prospettive valoriali diverse.
Il contesto dell’etica angloamericana
Una riflessione sull’etica delle virtù nel secondo Novecento non può non partire da un suo inquadramento nel contesto più ampio dell’etica e della metaetica di lingua inglese. Com’è noto, la separazione fra etica, da un lato, e ontologia e metafisica dall’altro si è accentuata fortemente dopo l’avvento della nuova scienza, particolarmente in Hume e in Kant. Nella filosofia contemporanea ciò è avvenuto soprattutto dopo Moore, nel filone dominante scientista e non-cognitivista della metaetica analitica, con il tema della fallacia naturalistica. E ciò proprio al fine di salvare l’autonomia della dimensione morale. Il problema dell’etica filosofica è innanzitutto quello di cogliere l’estrema ricchezza e complessità dell’esperienza morale, inquadrandola nell’insieme della vita e della razionalità umane. Questo compito non è dei più semplici. Uno dei padri della metaetica analitica, Charles Stevenson, per esempio, come suggerisce Stanley Cavell, «scrive di filosofia come se egli avesse dimenticato tutto ciò che sapeva a proposito del pensiero e della riflessione morale – come se avesse perso la nozione stessa di moralità. Il fatto non è però che egli l’ha persa, quanto piuttosto che egli non può (o non vuole) riconoscere o accettare ciò che sa». Questo rischio di semplificare eccessivamente l’esperienza umana attraversa la filosofia morale moderna e, in particolare, un influente filone dell’etica o metaetica analitica. Esso risente dell’assolutizzazione del metodo proprio della razionalità scientifica moderna che tende ad applicarsi a tutti i campi del sapere.