William Ross Ashby, Progetto per un cervello

Pubblicato per la prima volta nel 1952, Progetto per un cervello. L’origine del comportamento adattativo ha assunto oramai lo statuto del classico. Il libro di William Ross Ashby è, in primo luogo, come suggerisce il titolo stesso, un trattato sul cervello. Di conseguenza, non può che essere un libro sulla complessità. In secondo luogo, è un libro sulle condizioni per la progettazione di macchine capaci di implementare le funzioni adattative del vivente. Partendo dall’analisi dei meccanismi fondamentali preposti all’adattamento, l’autore si interroga sulle modalità attraverso cui costruire macchine adattative: può una macchina modificare spontaneamente la propria organizzazione in modo da adattarsi a un ambiente cangiante?

Precorrendo la robotica situata, il darwinismo neurale, l’enattivismo e l’approccio dinamico nelle scienze cognitive, questo testo, a distanza di settant’anni, continua a essere un evergreen. Un classico da riscoprire capace ancora oggi di illuminare i presupposti teorici del machine learning e i principi auto-organizzativi delle reti neurali artificiali.

Il fatto su cui ci basiamo è che, dopo il processo di apprendimento, il comportamento è in genere meglio adattato di prima. Ci chiediamo perciò quale proprietà devono avere i neuroni, tenendo presente che essa si manifesta attraverso un miglioramento del comportamento di tutto l’organismo.

Una prima spiegazione può essere che se tutte le cellule nervose, come piccole unità biologiche, sono sane e normali, allora tutto l’insieme risulterà sano e normale. Questa idea però deve essere scartata, perché è inadeguata. Infatti il miglioramento nel comportamento dell’organismo è spesso un miglioramento in rapporto a entità che non hanno una controparte nella vita di un neurone. Per esempio, quando in un esperimento sui riflessi condizionati un cane impara a produrre saliva ogni qual volta gli viene dato del cibo, il comportamento migliora perché la saliva serve come lubrificante nella masticazione. Ma nell’esistenza del neurone, che riceve tutto il cibo in soluzione, “masticazione” o “lubrificante” non possono avere una diretta importanza o significato. Ancora, un topo in un labirinto che ha imparato a comportarsi bene, ha imparato a produrre un tipo particolare di movimento; eppure questo apprendimento ha coinvolto dei neuroni che sono saldamente fissati a una fitta rete di fibre gliali e che, nel corso della loro vita, non si spostano mai.

Infine prendiamo il macchinista di un treno che, la mano sulla leva del freno, vede un segnale. Se è rosso, l’eccitazione deve essere trasmessa dalla retina attraverso il sistema nervoso, in modo che le cellule della corteccia motoria inviino degli impulsi a quei muscoli che con la loro attività mettono in azione il freno. Se il segnale è verde, l’eccitazione deve essere trasmessa dalla retina attraverso il sistema nervoso, in modo che le cellule della corteccia motoria non azionino la valvola del freno. E la trasmissione deve avvenire (e la conseguente sicurezza del treno è garantita) tramite neuroni che non possono avere nessuna idea di “rosso”, “verde”, “treno”, “segnale” o “incidente”! Eppure il sistema funziona.

È evidente che la “normalità” al livello dei neuroni non basta a garantire la normalità nel comportamento dell’organismo nel suo complesso, perché le due forme di normalità non hanno un rapporto reciproco definito.

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