Roberto Ziccardi, ANAAO. Storia e valore di un sindacato
16,00 €
Nel 2019 l’ANAAO compie 60 anni. Una vita, due generazioni, un tempo sufficiente per cambiamenti epocali, quali quelli che, di fatto, si sono verificati nella medicina e nella sanità. All’avvicinarsi di un importante traguardo, questo libro vuole essere non solo la storia di un organismo chiamato “sindacato” ma anche del suo karma, una memoria ma anche una riflessione sul coraggio di pensare, attraverso gli anni, una sanità diversa, il racconto di una passione civile capace di tenere insieme il diritto alla cura e quello a curare, la rappresentanza e la difesa di legittimi interessi dei medici con la esigibilità per i cittadini dell’art. 32 della Costituzione. Questioni sindacali mai separate da ideali e sensibilità etiche. Ci sono già state altre pubblicazioni riguardanti l’ANAAO. Questa, al cui Autore, per molti anni dirigente di questa associazione, mi lega il debito della iniziazione e del reclutamento nell’ANAAO in anni ormai lontani, vuole ritornare alle radici per ricostruirne il percorso attraverso i suoi congressi, letti nel loro contesto sociale e politico, i fatti, i nomi e i volti di chi ha costruito la storia di questo sindacato e, in parte non piccola, anche della sanità italiana. Operazione necessaria per rafforzare, in tempi liquidi come i nostri, il senso identitario. Il libro costituisce anche lo spunto per una riflessione sullo strumento “sindacato”, quanto mai attuale dentro una rivoluzione culturale, sociale e tecnologica senza eguali. Un tentativo di risposta alla domanda che, anche nelle nostre fila, serpeggia come un fiume carsico: a che serve oggi il sindacato? A che serve l’ANAAO? Di fronte al cambiamento strutturale realizzatosi nel mondo dei lavori e all’esplodere dei contratti atipici, così diversi dal rassicurante tempo indeterminato cui eravamo abituati, non appare più scontata la capacità del sindacato di rappresentare in maniera incisiva il lavoro, nelle molteplici forme in cui oggi viene declinato. Non si può negare che l’onda lunga della crisi di consenso e di fiducia verso le istituzioni ha raggiunto anche il sindacato, e la sua capacità di rappresentanza. Tanto che sparare contro il sindacato è diventato una moda, una variante della retorica anti-casta, terreno di consensi facili e a buon mercato. La vulgata corrente parla di un sindacato causa di quasi tutti i guai del paese, fattore di ritardo, ostacolo alle magnifiche e progressive sorti del liberismo. Capace di rappresentare, e male, solo gli interessi dei propri iscritti, senza tutelare gli outsiders, quelli che svolgono mansioni sostanzialmente identiche con disparità di retribuzione e di diritti. Un sindacato strabico, che sembra stare da un solo lato non vedendo che si lavora fianco a fianco divisi da barriere invisibili. Come se non fosse, però, la forza dell’organizzazione e degli organizzati a permettere di agire per includere gli esclusi. Certo, il sindacato ha commesso errori, manifesta limiti e ritardi, così lontano dalla novità dei blog, di facebook o twitter. Ma non bisogna confondere cause ed effetti introiettando colpe che non abbiamo, come un qualsiasi Tafazzi di turno, sottovalutando la portata della metamorfosi subita negli ultimi anni dal lavoro professionale in sanità, svilito nella sua funzione sociale, de-capitalizzato, precarizzato, de-materializzato, impoverito dal punto di vista retributivo e numerico, merce venduta sul mercato in cambio di un salario. E oggi destrutturato, tanto che è saltata la relazione lineare tra laurea e lavoro in ospedale che da meta ambita è diventato buco nero da evitare. I tentativi di uscita dalla crisi economica, spesso usata come alibi per scelte politiche regressive, sono stati giocati tutti contro i due strumenti che dal 1800 regolano il rapporto tra lavoratori e i datori di lavoro, vale a dire CCNL e sindacato, in una corsa alla deregulation nell’utilizzo delle risorse umane, costi da tagliare prima e più degli altri. La delegittimazione delle rappresentanze sociali è funzionale al mantenimento delle politiche recessive, e in suo nome si faranno altri passi indietro, che chiameranno riforme strutturali ma mireranno alla eclissi dei corpi intermedi. La rappresentanza, però, non è attribuzione stabilita per legge o gentile concessione di spazio concertativo da parte della politica. Essa è combinazione di interessi, conflitti e partecipazione che esprime orgoglio e coraggio. Orgoglio di essere il telaio di qualunque sistema sociale, componente indispensabile nella gestione delle società complesse, e dei sistemi complessi come quello sanitario, che non funzionano senza processi di rappresentanza. Nemmeno l’attuale società circolare può girare se non oliata da reti soft e hard che sono i servizi, compresi quelli di tutela della salute. Coraggio di rifiutare la riduzione dei rapporti di lavoro e sul luogo di lavoro a questione privata, guerra personale, solitudine di fronte all’arroganza del potere. Il mondo che molti politici, di destra e di sinistra, che puntano sul rapporto diretto con gli utenti di tv e web, vorrebbero, in cui il sindacato semplicemente non esiste, superato dai tempi che corrono scartando chi non sta al passo. Il lavoro al tempo del colera. Quando cambia il contesto, cambiare non è più una scelta, ma una necessità e solo un sindacato capace di cambiare può gestire il cambiamento. Se la nuova epoca della conoscenza globale in rete disarticola le forme del lavoro anche nel settore dei servizi, non si può stare fermi arroccati a vecchi paradigmi che nessuno più garantisce. Questo l’ANAAO lo ha capito da tempo decidendo di rappresentare non solo i Medici ma anche altri professionisti che condividono con loro spazi fisici, area contrattuale, condizioni di lavoro, quali i dirigenti sanitari. Oggi, e paradossalmente, l’acuirsi di incertezze e criticità nel mondo del lavoro tende a fare ritenere antiquata l’idea associativa, nata dai grandi partiti e movimenti del secolo breve, come forma organizzata di tutela delle aspettative e dei legittimi interessi, individuali e generali. Ma, anche ai tempi della crisi più lunga della storia recente, e con governi che “fanno” sindacato distribuendo a pioggia incrementi economici, e invadendo per via legislativa gli spazi della contrattazione che si volevano privati, il sindacato “serve” perché esprime solidarietà, comunità, partecipazione, antagonismo. E capacità di dare voce collettiva al disagio e alla protesta, continuando a credere che i problemi di uno sono problemi di tutti. “An injury to one is an injury to all”, il motto di un sindacato americano del primo Novecento. Nessuno rimanga solo con i propri problemi. La presenza e l’estendersi di una sfiducia, profonda e generalizzata, verso tutti e tutto, compreso il sindacato, oggi permea soprattutto il mondo giovanile, alimentando fratture che la crisi economica ha amplificato fino a fare considerare i sindacati partecipi di un complotto contro i giovani e addirittura corresponsabili dello stato di cose. Stiamo già assistendo a nuovi conflitti che segnano la discontinuità dei modelli produttivi e la frattura tra i lavoratori di prima generazione e quelli di terza, messi al lavoro in forma flessibile e atipica. Malgrado la nostra tenuta, sia di iscritti, ancora al primo posto, che di idee, per affrontare le nuove sfide un rinnovamento generazionale, e di genere, è necessario, anche se in nessun settore il ricambio avviene immediatamente sotto il segno della equivalenza delle competenze. Ogni salto d’epoca si presenta come ruota della fortuna, che per molti può essere, però, la ruota del criceto, quasi sempre senza i diritti del ’900. Oggi le rappresentanze devono appunto interrogarsi su come rapportarsi a una nuova composizione sociale e come intercettarla al lavoro nella ruota del criceto. Viviamo in un periodo di pensiero debole e identità professionali confuse e fragili, in una crisi del sociale che alimenta un neoindividualismo competitivo e autosufficiente ma uscirne tutti insieme è il sindacato. Siamo all’inizio di una nuova stagione di rappresentanza e di rappresentazione della società circolare che viene avanti, anche nella sanità, reclamando un sindacato più forte, più inclusivo, più maturo. Capace di realizzare una semplificazione della attuale frammentazione della rappresentanza, fattore strutturale di debolezza per tutta la categoria. E rilanciare un nuovo professionalismo che recuperi la frantumazione e lo smarrimento dell’identità professionale per mettere riparo alla crisi della dominanza e alla perdita di ruolo sociale e politico. Non sarà facile, ma si deve fare. L’ANAAO ce la farà. Anche il suo futuro ha un cuore antico che batte nella memoria delle radici.