In questo libro si espone il realismo di Aristotele: uno che colleziona le costituzioni delle città del suo tempo per scrivere di politica, uno che fa indagini sperimentali sugli animali e sulle piante per parlare della natura, uno che mette ordine con pazienza nei nostri ragionamenti, uno che cataloga i minerali o le forme della retorica con lo stesso rigore, uno che insegue tutte le varianti dell’agire umano, uno che volge gli occhi al cielo della metafisica, sentendo il peso del finito. Ebbene, uno così serve studiarlo a fondo, se ne converrà, come esempio di ricerca tanto speculativa quanto scientifica.
Ma Aristotele non è solo un insuperato Maestro di metodo. Egli insegna anche, anzi soprattutto, che la comune esperienza umana del mondo (ta physikà) chiede d’essere oltrepassata. Oltrepassata, se letta secondo un sapere – in ultima istanza – stabile o incontrovertibile (episteme). È infatti questo sapere che costringe a porre uno strato dell’essere che è metà ta physikà. Tanto i libri aristotelici di Metafisica quanto quelli di Fisica convergono su questo stesso risultato, preparato da una lunga ricerca che ha l’Accademia di Platone come luogo privilegiato di formazione intellettuale.
Purtroppo, episteme e metafisica sono anche le due grandi cifre aristoteliche che la letteratura critica del secolo scorso ha spesso sottovalutato o ignorato o ridotto a convinzioni giovanili del loro Autore. Queste cifre vengono invece qui riproposte nella loro centralità, sullo sfondo della dottrina dell’analogia dell’essere, geniale congedo di Aristotele dal platonismo.