Carmelo Vigna, Il frammento e l’Intero. Indagini sul senso dell’essere e sulla stabilità del sapere
35,00 €
Ma è poi vero che l’ultima cifra del senso dell’essere è il ‘frammento che siamo’? No, è subito da rispondere; non è per nulla vero. Questo libro ha avuto e ha ancora la modesta pretesa di far vedere (cioè di ‘dimostrare’) l’impossibilità che il ‘frammento che siamo’, cioè poi il ‘finito’, sia l’ultima parola intorno al senso dell’essere; e ha avuto e ha ancora la modesta pretesa di far vedere (‘dimostrare’) che ciò che finito non è, sta ontologicamente oltre il finito. Ne è il fondamento di senso e ne è il fondamento d’essere. In altri termini, il ‘frammento che siamo’ implica necessariamente l’Intero o la totalità dell’essere, ma come altro da sé. La prima battuta è contro l’esito più accreditato della contemporaneità (la ‘finitezza’), la seconda battuta è contro l’esito più accreditato della modernità (l’‘immanenza’). Tanto la posizione del semplice finito, che sarebbe dunque finito da nulla, e che dunque intenderebbe valere come infinito (se le parole hanno ancora un senso), quanto la posizione di un infinito che è solo tempo o storia e che dunque non può fuoriuscire dalla finitudine, sono la posizione di una evidente autocontraddizione. Come questo non venga da molti avvertito nella sua essenziale semplicità, è uno dei grandi misteri della cultura occidentale più recente. Il visibile, a quanto pare, ci ha sedotti. Testimoniare invece la grandezza e la realtà dell’invisibile è stato sempre il compito d’onore della tradizione metafisica, almeno da Parmenide in avanti. Contribuire un poco a questo compito è il piccolo privilegio che l’autore ha sempre rivendicato per sé.