Jacques Derrida, Posizioni

Rilasciate intorno alla fine degli anni ’60, le tre lunghe interviste che compongono Posizioni rappresentano senza dubbio il migliore “ingresso” nelle opere di Jacques Derrida. In un periodo di effervescenze culturali al limite dell’ebbrezza, il filosofo franco-algerino ‒ che ha già pubblicato testi oggi considerati tra i vertici del pensiero filosofico contemporaneo ‒ viene interrogato su nozioni come “archi-scrittura”, “grammatologia”, “différance“, “disseminazione”, “decostruzione” che avevano fatto irruzione nel dibattito filosofico e ne avevano sovvertito gli assunti fondamentali. Le domande che gli vengono rivolte non nascondono le perplessità, gli interrogativi, le richieste di chiarimento che tali nozioni avevano suscitato, e Jacques Derrida, pur nei limiti imposti dal genere “intervista”, non si sottrae a nessuna provocazione e generosamente offre agli interlocutori i passaggi, i moventi, le articolazioni del suo percorso teorico. Invitato dunque ad entrare nell’officina di Derrida, il lettore può scoprire la genesi di un pensiero che continua a sollecitare il nostro tempo senza per questo lasciarsi rinchiudere dentro accomodanti pacificazioni.

Il motivo della differænza, quando marcato da un æ silenzioso, non svolge in effetti né il ruolo di «concetto», né semplicemente quello di «parola». Avevo provato a dimostrarlo. Questo non gli impedisce di produrre effetti concettuali e concrezioni verbali o nominali. Che, del resto, anche se non lo si percepisce subito, sono ad un tempo impresse e fratturate dall’impronta di questa “lettera”, dal lavoro incessante della sua strana “logica”. Il «fascio» che lei richiama, è un fuoco di incroci storico e sistematico; è soprattutto l’impossibilità strutturale di chiudere il reticolo, di arrestare la sua tessitura, di tracciarne un margine che non sia una nuova marca. Non potendo più erigersi come una parola chiave o un concetto chiave, barrando qualunque rapporto con il teologico, la differænza si trova presa in un lavoro che essa determina attraverso una catena di altri “concetti”, di altre “parole”, di altre configurazioni testuali; e forse avrò presto l’occasione di indicare perché queste o quelle “parole” o “concetti” si sono successivamente o immediatamente imposti; e perché si è reso necessario dar loro valore di insistenza (per esempio gramma, riserva, intacco, traccia, spaziamento, bianco [sens blanc/senso bianco, sang blanc/sangue bianco, sans blanc/senza bianco, cent blanc/cento bianchi, semblant/sembiante], supplemento, pharmakon, marginemarcamarka, ecc.). La lista, per definizione, non ha una chiusura tassonomica; ancora meno costituisce un lessico. Anzitutto perché non si tratta di atomi ma di fuochi di condensazione economica, luoghi di passaggio obbligati per un gran numero di marche, crogioli un po’ più efferverscenti.

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