La plasticità al tramonto della scrittura è un manifesto filosofico e un’autobiografia intellettuale. Il saggio ha per tema uno dei motivi più importanti della filosofia europea negli ultimi cinquant’anni: la decostruzione. Catherine Malabou, con uno stile vibrante, cerca un’alternativa alle nozioni di traccia, resto, scrittura, sondando l’ipotesi di una “ri-materializzazione” e di una “ri-monetizzazione” del pensiero filosofico contemporaneo.
Punto di approdo e di costante ripartenza è la comprensione post-metafisica della forma: una forma perennemente dislocata, forma “in sé” irriducibile alla presa del “per sé”, che tuttavia è in grado di generare quel regime della visibilità e dell’evidenza che rappresenta una sorta di nuova infanzia della storia. Prova evidente e più generale di questo movimento è il profondo mutamento epistemologico contemporaneo, consistente nel passaggio da un’episteme del codice (dalla linguistica alla scrittura del dna) a un’episteme della messa in immagine (della quale le immagini della neurologia forniscono il paradigma maggiore).
Tra questi confronti mobili, tra i profili estremi e diversamente accollati della filosofia e dell’altro pensiero, del tempo e dei tempi, dei “no” e dei “no”, della distruzione e della decostruzione, ha luogo il corpo a corpo fratricida tra la presenza e l’assentarsi (absentement) della presenza, tra il presente e il suo ritrarsi. La seconda grande virtù del concetto di plasticità – scoperto per la prima volta nella Prefazione della Fenomenologia dello spirito di Hegel – risiede nella sua capacità di designare allo stesso tempo la compiutezza della presenza e la sua deflagrazione, il suo sorgere e il suo esplodere. Esso è in grado di situarsi perfettamente nello spazio intermedio tra la metafisica e il suo altro, di giocare alla perfezione il ruolo di mediatore o di traghettatore (passeur).
«L’esposizione filosofica – afferma Hegel – diverrà plastica e veramente efficace solo quando riuscirà ad escludere da sé il tipo di rapporto ordinario tra le parti di una proposizione». Alla luce di questo argomento, la plasticità appare come una riconquista della presenza a partire dalla separazione e dalla giustapposizione delle membra disjectæ della proposizione – soggetto-copula-predicato. L’idea per cui la soggettività si costituisca rivenendo a sé e non annunciandosi nel movimento ingenuo di una nascita senza storia; l’idea di un soggetto ri-formato (re-formé), riformato (réformé) mi è parsa come l’espressione più compiuta della presenza. Allo stesso tempo, secondo un significato più recente che Hegel ha anticipato in molti modi, la plasticità indica la distruzione e la deflagrazione della presenza, la «parte esplosiva della soggettività». Ed è vero pertanto che la proposizione speculativa procede anche dalla dissoluzione preliminare di ogni forma. La plasticità mi è dunque sembrata fin dal principio come una struttura di trasformazione e di distruzione della presenza e del presente.