Pier Alberto Porceddu Cilione è Assegnista di Ricerca presso l’Università di Verona, dove insegna Estetica. Ha studiato presso l’Università degli Studi di Milano, l’Università di Verona e la Freie Universität di Berlino. Ha compiuto studi musicali. Si occupa di filosofia dell’arte, filosofia della musica, teoria della traduzione e filosofia della cultura. Recentemente è apparso La terra e il fuoco. Antinomie della cultura (2017).
Arte
«Il problema dell’essenza dell’arte non è più al centro della filosofia»: questa frase decisiva introduce il recente lavoro di Günter Figal sull’estetica come fenomenologia. Non si può negare che, oggi, la legittimità della domanda «che cos’è l’arte?» venga contestata. Per la sensibilità contemporanea, questo tipo di domanda pecca di essenzialismo: ogni questione che chieda di un presunto carattere «metafisico» che custodisca l’insieme di tutti gli «oggetti dell’arte» risulta del tutto inadeguata. A ciò vengono poste due obiezioni di fondo: in primo luogo, la domanda sull’essenza dell’arte sembra venire pragmaticamente sostituita con la domanda di Nelson Goodman: «quando è arte?»; in secondo luogo, l’analisi filosofica di una presunta essenza dell’arte sembra non riuscire a rendere conto dei fenomeni straordinariamente vari dell’esperienza come della pratica artistica. Davanti a queste giuste obiezioni, bisogna dunque abbandonare ogni tentativo di risposta? Forse le cose non stanno necessariamente così, perché, a ben guardare, la determinazione dell’essenza dell’arte, nei secoli della nostra tradizione filosofica, si è configurata non tanto come un domandare intorno a una questione lato sensu estetica («che cos’è l’arte, cosicché io possa apprezzarla in quanto tale?», «cos’è l’arte, cosicché io possa riconoscerla rispetto agli oggetti che non lo sono?»…), ma come un domandare sulla potenza – della natura e dell’uomo – di produrre l’ente in quanto tale. L’«arte», così intesa, deve essere pensata non già nel piccolo contesto di una teoria estetica, ma nel più vasto diametro di una teoria della natura, rispetto alla quale misurare il grado di «artificialità» che l’«arte», così intesa, elabora.
Quando ci si chiede «che cos’è l’arte», si utilizza un termine che è, in molte lingue moderne, il calco latino della parola ars. La parola ars, a sua volta, tenta di restituire in latino il valore semantico del termine greco τέχνη. Il campo di senso che si apre da queste traduzioni è assai vasto e non di rado problematico. Il termine «arte», che nella determinazione post-hegeliana assume un significato tutto legato alla dimensione estetica, si trova congiunto, attraverso la sua storia semantica, al termine «tecnica», il quale mantiene sì la somiglianza morfologica con la τέχνη greca, ma apre anche verso la direzione di una determinazione vicina alle questioni della «tecnica» modernamente intesa. Come è possibile che il termine «arte» si trovi così sullo stesso piano semantico del termine «tecnica»? Per comprendere questi paradossi è necessario tenere presente che il termine arte, nella tradizione filosofica fino a Kant compreso, non indica affatto ciò che produce un oggetto culturale dalle proprietà estetiche, ma indica il nome che gli esseri umani hanno dato alla loro abilità poietica, ovvero alla capacità di produrre oggetti artificiali. La teoria dell’«arte», in Occidente, è stata, per secoli, una teoria dell’artificio, un pensiero e una filosofia dell’artificialità. Il factum dell’«arte–factum» ha nominato, in quei secoli di riflessione, l’azione umana di presiedere alla genesi di un «arte-fatto», la cui artificialità era marcata dall’essere fatto «ad arte», dall’essere fatto in forza dell’ars, secondo quella soglia genetica differenziale che stacca l’«arte» dall’universale creatività della Natura. Si comprende meglio per quale motivo sia così difficile tradurre, nelle lingue moderne, i termini «ars» e «τέχνη». Essi nominano qualcosa che ha solo marginalmente a che fare con l’estetica, e che finisce per coincidere con una delle soglie fondamentali dell’ominazione: ovvero la capacità di produrre oggetti «artistici», «artificiali», «tecnici».
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