Esperire l’arte è un compito infinito che si dà alla conoscenza, in quanto è intrinseco ad essa. Una conoscenza – quella intuitiva, nel caso di Croce – che sembra essere stata attinta ad una dimensione originaria immemoriale: quella per cui l’arte è capacità di cogliere la realtà prodotta nel qui ed ora, per renderla legge dell’esperienza e immagine del suo articolarsi polifonico.
Il secolo passato si apre con un’opera fondamentale, l’Estetica come scienza dell’espressione e linguistica generale del 1902, che, nel riallacciarsi alla grande tradizione razionalistica e idealistica dell’estetica, le imprime una svolta: quella che segna il passaggio dall’arte come conoscenza (e, quindi, come espressione isolata e subordinata al comprendere) all’arte come esperienza (un’arte che, in piena autonomia, crea le proprie condizioni di possibilità). L’intuizione e l’espressione, quali fili conduttori per il risalimento alle origini dell’esperienza dell’arte, sono dunque, per Croce, i due poli di produzione ed autoriflessione della realtà e delle sue possibilità rappresentative. Possibilità che il giudizio, esteticamente, scandaglia e fonda nel dare loro il nome: quello di arte.
Intuizione, espressione e forme dello spirito
Avendo stabilito in che modo l’intuizione entri a far parte della filosofia, della storia e della scienza naturale, Croce si addentra in alcune aporie che caratterizzano le teorie dell’arte del suo tempo. Quando definiamo, ad esempio, “verisimile” un componimento (e qui, ovviamente, il pensiero non può che andare all’eikós aristotelico in Poet. IX, 51 b 9-10), non dobbiamo pensare che esso abbia da rispondere ad un qualche principio di credibilità storica o, tanto meno, di utilità scientifica (come nel caso dei romanzi naturalisti). Esteticamente, un uso efficace del verisimile lo si ha quando intendiamo tale termine come sinonimo di “coerente” da un punto di vista tecnico, ossia omogeneo rispetto ad una certa forma di rappresentazione. Nell’esprimerci verisimilmente (coerentemente) non miriamo alla dimostrazione di alcune tesi (qualsiasi esse siano), partendo da specifiche asserzioni, ma cerchiamo di rendere manifesta una parte della realtà attraverso forme mediali che promuovono la comprensione, e ad essa non si oppongono. La formazione di concetti può e deve avvenire solamente a seguito dell’attività estetico-intuitiva, su cui universali ed astrazioni hanno sempre un ruolo piuttosto ristretto, per il fatto stesso di darsi post festum. Infatti, è vero che è possibile «sciogliere i fatti espressivi in rapporti logici», ma è vero anche che, nel momento in cui costruiamo un concetto scientifico, «il fatto espressivo, dal quale si erano prese le mosse, è stato abbandonato. Da uomini estetici ci siamo mutati in uomini logici». In merito al passaggio dall’estetico al logico, questa affermazione tradisce la volontà di Croce di mantenere intatta la separazione tra conoscenza intuitiva e conoscenza logica, che è il perno della sua Estetica. Ma, sebbene la lex continui venga nuovamente rotta in due parti uguali senza lasciare residui (dopo essere stata, lo abbiamo visto poco fa, parzialmente ripristinata), viene legittimo domandarsi: è possibile dedurre dal concetto l’intuizione – cioè percorrere all’inverso i gradi della conoscenza, legittimando così ogni traduzione, parafrasi o riscrittura rispetto ad un’intuizione (sedicente) originaria?
Recensioni
Luca Viglialoro, Origine dell’arte. Studi sull’estetica di Croce, Orthotes Editrice, Napoli-Salerno 2018, 108 pp., 16 euro (collana: Italiana)
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