Giuseppe Maccauro, Novecento primitivo. Ernesto De Martino fra apocalisse e riscatto

Ernesto De Martino (1908-1965) è una delle figure più interessanti del panorama culturale dell’Italia del Novecento. Intellettuale eclettico – etnologo, storico delle religioni e filosofo – nel corso del suo itinerario assorbe l’atmosfera dell’Italia fascista, poi si rivolge allo storicismo di Benedetto Croce e infine, dopo l’esperienza della Resistenza, al comunismo e al socialismo. De Martino è innanzitutto uno studioso dei modi attraverso i quali le società tecnicamente meno evolute hanno cercato di salvare l’uomo dal pericolo della crisi, cioè dal «rischio antropologico permanente» di scivolare fuori dal tracciato della storia per regredire alla dimensione naturalistica. Ma è soprattutto un pensatore inquieto ed un osservatore preoccupato degli innumerevoli segnali del profilarsi della crisi della civiltà occidentale del Novecento, tecnicamente sviluppatissima, eppure sconvolta dalle torsioni primitivistiche delle arti, della politica e della società contemporanee. Un “clinico della cultura”, come lui stesso si è definito, immerso nei sintomi e nelle ossessioni del nostro tempo, che gli appare dominato sia da desiderio di rigenerazione, sia da una fortissima pulsione autodistruttiva.

Il quadro problematico dentro cui si inscrive la fase del percorso demartiniano successiva alla pubblicazione del Mondo magico è fatto di cambiamenti molto importanti nella vita dell’etnologo napoletano, che si riflettono anche sulla prospettiva adottata negli studi. Negli anni ’50 De Martino ritorna sui problemi centrali del Mondo magico (innanzitutto quello della crisi della presenza), ma li arricchisce di suggestioni nuove, perché intanto aveva consolidato il suo rapporto con l’editore Einaudi e la collaborazione con Cesare Pavese alla Collana Viola, perché si era avvicinato al socialismo, poi al comunismo; perché l’interesse per Gramsci lo stava conducendo verso l’attività “sul terreno” e verso lo studio del relitto folklorico; perché, infine, De Martino ambiva alla consacrazione accademica, che il suo profilo di “etnologo da tavolino” difficilmente gli avrebbe permesso di raggiungere.

Un momento di svolta nella biografia intellettuale di De Martino, è senza dubbio da individuare nella sua Prefazione al volume Le origini dei poteri magici, ospitato nella «Collana Viola», che raccoglie saggi di Émile Durkheim, Henri Hubert e Marcel Mauss. È uno scritto molto importante perché conterrebbe la “abiura” delle tesi del Mondo magico che maggiore perplessità avevano suscitato presso i suoi lettori, in primis in Benedetto Croce. De Martino, che non cita direttamente il suo lavoro del 1948, ne richiama tuttavia la questione più spinosa, il tema della “storicizzazione delle categorie”, cui ora si accosta da una nuova prospettiva, perché adesso si afferma la convinzione che «la storia non è mai storia delle categorie, ma si svolge per entro le categorie». De Martino, dando a intendere di aver recepito i motivi della polemica che lo vide contrapposto a Croce, all’indomani dell’uscita del Mondo magico, nella sua Prefazione richiama la necessità di scindere (come non volle fare nel Mondo magico) il piano logico ed immutabile delle categorie, da quello fenomenologico della «coscienza delle categorie» e ricorda come progresso e cambiamento possano darsi solo del secondo. Progresso e cambiamento che si traducono in una nuova articolazione della metodologia storiografica, la quale pur sempre si svolge «per entro» l’eternità delle quattro forme dello spirito.

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