Nella Philosophie der Natur di Nicolai Hartmann (1882-1950), la natura è un processo unitario che si snoda nel tempo. Al suo interno innumerevoli sotto-processi si dipanano, si modificano, si influenzano a vicenda. In questa incessante trasformazione i singoli enti si danno una e una sola volta, con tratti di radicale contingenza, e contendono gli uni con gli altri per durare nel processo – per continuare, scrive Hartmann, a far parte del cerchio del possibile. Elementi inorganici, sistemi atomici e planetari, specie biologiche e organismi, esseri umani (di volta in volta intesi come centri psichici, soggetti conoscenti e persone), tendenze storiche e istituzioni: a seconda dello strato ontologico a cui appartengono, le entità reali dispiegano varie strategie di permanenza. Tra queste ultime spicca per Hartmann la dinamica della Konsistenz, ossia il processo di attivo mantenimento e ripresa della propria identità da parte dell’Io e della persona morale. In questo punto del pensiero hartmanniano, ontologia naturale e riflessione etica convergono. La stabilità della persona (nel tempo, ma anche contro le modificazioni psichiche del soggetto) è infatti il presupposto della realizzazione concreta dei valori morali, che in quanto enti ideali sono estranei alla natura ma di cui l’essere umano, nella sua libertà, coglie pienamente la valenza obbligante.
Mi sembra di capire che la gnoseologia di Hartmann preveda delle categorie oggettive dell’essere, una ontologia oggettiva che prescinde dall’osservatore e dalla sua epistemologia soggettiva ma anche che anch’egli stesso è determinato dalle categorie oggettive da cui è definito… il mondo sarebbe costituito da strati di categorie, specie di a priori di esistenza, che agiscono con la loro esistenza stessa nella realtà, così determinandola… potrebbe questa concezione permettere la saldatura della cesura storica tra epistemologia soggettiva e ontologia oggettiva? O questa ipotesi è kantianamente inattuabile perché impossibile?