Edmund Husserl, Meditazioni cartesiane

Quod vitae sectabor iter? Questi versi iniziali di una poesia di Ausonio sognava di leggere Cartesio, per poi, nel medesimo sogno, essere deviato verso un’altra composizione dello stesso poeta: Est et non. La questione riguardo a ciò che è e a ciò che non è può dunque essere considerata intimamente legata a quella relativa all’itinerario da seguire nella vita. È questa, in effetti, la prospettiva più adeguata per leggere e comprendere le qui nuovamente tradotte meditazioni cartesiane di Husserl. Scritte in gran parte sulla base di conferenze tenute a Parigi nel 1929, pubblicate in traduzione francese nel 1931, ma solo post mortem in tedesco nel 1950, le Meditazioni cartesiane costituiscono una delle più celebrate, commentate, interpretate e fraintese opere di Husserl. Per molti aspetti la più “agile” introduzione al suo progetto filosofico, esse esigono lettori che sappiano farsi carico dell’evidenza e delle conseguenze dell’evidenza del proprio pensiero per condursi in una vita il cui senso concreto emergerà come per essenza realizzato e da realizzarsi in un mondo comune.

Dalla Prefazione, di Andrea Altobrando

Qual è il senso della vita?” È questa una domanda che chiunque conosca l’opera di Husserl, anche solo superficialmente e nelle sue linee generali, e che non sia incline a leggerla in chiave eccessivamente esistenzialistica, riterrebbe probabilmente inadeguata rispetto all’effettivo contributo che Husserl ha offerto e continua a offrire alla scienza filosofica. Di fatto, se Husserl continua oggi a essere letto e studiato è soprattutto, e giustamente, per il suo contributo a questioni di teoria della conoscenza, filosofia della percezione, filosofia della logica, ontologia formale, ontologia sociale, al limite anche di etica, ma la domanda sul “senso della vita” non sembra mai comparire direttamente nei suoi scritti, sia editi che inediti, e si potrebbe ragionevolmente ritenere che sia una domanda inadeguata rispetto a quanto di davvero rilevante e originale Husserl possa offrire. In effetti, anche nei suoi momenti più “patetici”, ossia pervasi di pathos etico-esistenziali, come nell’articolo Filosofia come scienza rigorosa, nelle “lezioni di guerra” su Fichte e l’ideale di umanità, nei cosiddetti Kaizo-Artikel e in alcune parti della Crisi, Husserl non pone mai direttamente tale domanda. Anche se si volesse aderire al pathos esistenzial-etico di tali testi, anche se si fosse disposti persino a credere alle proprietà pressoché taumaturgico-salvifiche che Husserl ascrive talvolta alla riduzione (trascendental)-fenomenologica, resta il fatto che le sue analisi e meditazioni non si dirigono pressoché mai direttamente sul senso della vita e dell’esistenza in quanto tali. Eppure, al di qua di tutti gli eccessi retorici e al di là di pseudo-deliri mistico-messianici, è questa una delle domande che soggiacciono a gran parte del lavoro husserliano. La domanda sul senso della vita, come testimonierebbe l’epilogo proprio delle Meditazioni cartesiane, può anzi ragionevolmente ritenersi ciò che muove l’intero lavoro fenomenologico e, più ampiamente, filosofico di Husserl, il quesito a cui la sua indefessa impresa di pensiero – e di scrittura – tenta di dare in ultima istanza soddisfazione.

Recensioni

201813feb(feb 13)2:00 pmPhenomenological Reviews: Recensione di Meditazioni cartesianedi Daniele Valli2:00 pm Phenomenological Reviews, LausanneRassegna stampa:Meditazioni cartesiane

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