Maria Teresa Pacilè è dottore di ricerca in Scienze politiche (Università di Messina). Si occupa di problematiche relative alla costituzione teorica dell’etica contemporanea, con particolare riferimento alla struttura del soggetto nel suo confronto con l’alterità, alla giustizia e al male politico. Nel 2019 è stata insignita del Premio “Giuseppe Pezzino” per la migliore tesi di laurea magistrale discussa in Italia in Filosofia morale (Un segreto al cuore della soggettività. Percorsi etico-politici in P. Ricœur, E. Lévinas e J. Derrida, Roma 2021).
Prendendo le mosse dall’esperienza del Male politico totalitario, è necessario interrogarsi su come continuare a pensare dopo le atrocità cui le categorie di pensiero sviluppate dall’Occidente possono portare. Il paradigma logocentrico e immunitario che ha guidato la tradizione – declinatosi in modalità differenti da Platone sino ad Hegel – si è dimostrato contraddittorio: non si può più definire acriticamente la «libertà» come assoluta autonomia, il «soggetto» come colui che considera l’alterità un mezzo per la propria affermazione, l’«universalità» come il predominio dell’identico, la «ragione» come guida di un progresso indiscriminato, la «sovranità» come monopolio del potere legittimo, la «politica» come relazione gerarchica tra governanti e governati. Auschwitz – come scrive André Neher – è un «ritorno al caos» che ha rivelato la violenza di tali concetti.
La violenza smascherata del Male totalitario non è puramente concettuale o metaforica: ha eliminato oltre sei milioni di persone, «vittime sacrificali» di un dispositivo politico che, per mantenersi in movimento, ha avuto la necessità di distinguere, scartare, uccidere. Il sospetto paranoico, i meccanismi di individuazione del capro espiatorio «hanno funzionato nel giustificare l’annientamento del nemico esterno e di quello interno, garantendo, nel momento di crisi, l’omogeneità del gruppo e dell’organizzazione politica». La vulnerabilità al contagio psichico, la regressione alla lucida follia del branco continuano a costituire – ab origine, ma soprattutto oggi, accentuate dal progresso tecnologico – le «diaboliche armi del Male», alla base delle catastrofi di cui l’individuo si illude di non essere responsabile.