Marco Casucci, Libertà e Persona. Saggi su Paul Ricoeur

Nel pensiero di Ricœur il tema della libertà costituisce un elemento sorgivo che si trasforma progressivamente in un fiume carsico: qualcosa di sommerso che tuttavia riemerge di tanto in tanto nella sua scrittura. Il presente saggio sonda le tematiche più care a Ricœur, che si irradiano proprio a partire dalla riflessione sulla libertà: dal tema del linguaggio e della metafora, a quello del tempo e della narrazione, fino a giungere alla dimensione etica, legata al problema della volontà e del male, e che da ultimo sfocia nella questione del riconoscimento, tra giustizia e amore.

Ricœur e il linguaggio poetico

L’espressione ricoeuriana “poetica della libertà” compare per la prima volta nello scritto Finitudine e colpa. Il tema affrontato in questo scritto è incentrato sulla problematica del male, posta nel suo rapporto essenziale con la finitezza umana. Il male, detto per inciso, non sarebbe altro per Ricœur se non la negatività speculare alla finitezza umana, negatività che in qualche modo noi tutti già troviamo nel mondo, che quindi ci precede, e che costituisce in un certo senso la cartina di tornasole della nostra condizione esistenziale. Prima che noi possiamo o non possiamo sceglierlo con le nostre deliberazioni, il male in qualche modo c’è già, segnando rispetto alla nostra capacità di azione e di volizione un limite invalicabile che costituisce la nostra condizione esistenziale. A partire da questo presupposto, in quest’opera Ricœur sviluppa un percorso di pensiero volto alla chiarificazione della varie figure del male al fine di far vedere come tutti i “simboli” nei quali il male stesso si è incarnato rappresentano in qualche modo il tentativo di giustificazione e di descrizione di questa presenza-assenza in relazione all’uomo come agente e come vittima della storia del mondo. In particolare, la dimensione tragica rappresenta per Ricœur uno dei punti di maggiore interesse nella sua analisi, nella misura in cui essa mette in discussione in maniera definitiva ogni tentativo di teodicea.

A fare da contraltare a questa scoperta terribile che una teologia tragica verrebbe ad istituire in seno all’essere sarebbe una “tragi-logica” dell’essere che porterebbe il pensare a fare i conti col “dio malvagio”, inserendolo in qualche modo nella logica stessa dell’essere come elemento di negatività speculativa rispetto al manifestarsi dello splendore dell’essere, dinanzi alla cui maestà l’uomo non può che essere accecato o accecarsi (vedi il caso di Edipo). È in questo contesto che Ricœur per ben due volte nel giro di poche pagine richiama l’attenzione proprio sulla “poetica della libertà” come tentativo di fuoriuscita dal questa “tragi-logica” dell’essere, tanto potente quanto insostenibile sul piano esistenziale. Essa dovrebbe giungere a sostegno e a superamento dei limiti dell’antropologia filosofica in cui rimane comunque rinserrato il discorso di Finitudine e colpa.

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