Lev Tolstoj (1828-1910) non è stato solo il grande scrittore russo al culmine del romanzo dell’Ottocento, ma anche un teorico radicale del pensiero politico. A partire dagli anni Settanta, quando una profonda crisi spirituale lo condusse a interrogarsi sul senso della vita, dedicò al militarismo, alla guerra, al diritto di proprietà privata della terra e alla dottrina della Chiesa le pagine di condanna più aspre mai scritte.
L’indifferenza della società di fronte alla morte
Obbligare degli uomini a lavorare per 37 ore senza interruzione e senza riposo, oltre a essere cosa crudele, è anche antieconomica. Eppure, questo spreco di vite umane si consuma ininterrottamente sotto i nostri occhi.
Di fronte a casa mia sorge una fabbrica di tessuti di seta costruita secondo gli ultimi ritrovati della tecnica. Vi lavorano e vivono circa 3000 donne e 700 uomini. Seduto nella mia stanza posso sentire l’incessante fragore delle macchine e so – perché vi sono stato – cosa significa quel fragore. 3000 donne, in piedi di fronte a telai per 12 ore al giorno in mezzo a un rumore assordante, incannano, dividono e dispongono i fili di seta per i tessuti. Tutte le donne, a eccezione di quelle appena giunte dalla campagna, hanno un aspetto sofferente. Molte di loro conducono una vita sregolata e immorale. Quasi tutte, sposate o no, immediatamente dopo la nascita di un bambino lo mandano al villaggio o all’orfanotrofio dove l’80% di loro muore. Per paura di perdere il posto, le madri tornano al lavoro il giorno successivo o il terzo giorno dopo il parto.
Così, negli ultimi vent’anni, a quanto ne so, decine di migliaia di giovani donne, di madri in buona salute hanno sacrificato e stanno sacrificando la propria vita e quella dei propri figli per produrre oggetti di seta e di velluto.