Damiano Simoncelli, Natura, ragione e relazione

Quello della legge morale naturale è uno dei grandi temi che hanno impegnato la riflessione filosofica di Alasdair MacIntyre (Glasgow, 1929) negli ultimi tre decenni. Si tratta di un discorso che il filosofo scozzese sviluppa in costante dialogo con Tommaso d’Aquino e dentro un più ampio affinamento della propria teoria della razionalità pratica: il risultato di un simile sforzo è un’idea di legge di natura dai connotati fortemente dinamici, che aggrega gli esseri umani nella ricerca del vero, in un’intrapresa critica che non fa sconti né lascia spazio a facili compromessi. Lo studio esposto in questo volume si propone di offrirne una ricostruzione sistematica, non trascurandone i legami vitali con altri aspetti della speculazione macintyreana e promuovendo un rinnovato confronto con le fonti tommasiane. Esso si compendia in un invito a ripensare la legge morale naturale come logica delle relazioni buone con altri, con se stessi e con l’Altro.

La legge naturale tommasiana

È costume consolidato nella tradizione interpretativa il riferirsi al corpus articuli di Summa theologiae, I-II, q. 94, a. 2 come al luogo privilegiato in cui ritrovare il contenuto dei precetti della legge naturale. Come nota giustamente Jean Porter, una simile tendenza, per quanto rilevante dal punto di vista storico, non ha finora portato un qualche consenso ermeneutico, né sembra avere in sé le risorse per poterlo garantire in futuro: sia i problemi in merito al rapporto fra orientamenti radicali della persona umana (quelle che nel gergo tommasiano sono chiamate “inclinationes naturales”) e i precetti della legge naturale veri e propri (che tutelerebbero e promuoverebbero gli orientamenti menzionati), sia le difficoltà a comporre un quadro convincente che renda ragione dell’architettonica complessiva della moralità naturale (in grado di identificare, cioè, quali siano i precetti primari e quali i precetti secondari della legge naturale), inducono a pensare che l’abitudine sopra menzionata necessiti di essere perlomeno revocata in dubbio. Le diatribe di ordine ermeneutico, nondimeno, non mancano di riflettersi anche sul piano teoretico: soprattutto i sostenitori di una lettura secondo cui le inclinationes naturales ivi menzionate sarebbero «esse stesse specificazioni normative del primo principio della ragione pratica, o almeno fornirebbero le giustificazioni immediate per norme rilevanti», senza far intervenire alcuna mediazione da parte di una qualche narrativa individuale e sociale, ebbene costoro si troverebbero a dover rispondere dell’adeguatezza o meno di un simile approccio, sia di fronte alla sfida del disaccordo morale, sia di fronte a quella della necessità di elaborare un’antropologia filosofica non dimentica della “naturale culturalità” dell’essere umano.

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