Viviana Faschi, Dalla struttura alla matrice. Politiche della psicosi a partire da Jacques Lacan

Jacques Lacan ci ha insegnato che la psicosi è “strutturata” e che questa struttura è antipodale rispetto a quella nevrotica. Compiendo un percorso a ritroso nella clinica delle psicosi, questo volume vuole scommettere sull’idea che ci sia qualcosa di antecedente alla struttura. Una matrice, la quale, secondo causalità insieme aleatorie e contingenti, stocastiche e necessarie, fa propendere il soggetto per l’una o l’altra struttura. Si scopre così che il confine che separa nevrosi e psicosi non è così netto come si è pensato, e che ci troviamo sempre di fronte a soggettività che non sono né totalmente nevrotiche né totalmente psicotiche, ma sono semmai abitate dalle infinite sfaccettature di questa solo apparente dicotomia.

La questione della causalità della follia non cessa di interrogare il senso comune così come le discipline più specialistiche, sia quelle di ambito medico-scientifico sia le cosiddette scienze umane. Spesso però le risposte che vengono date sono più orientate verso la difesa del proprio ambito di appartenenza piuttosto che verso un’autentica ricerca del significato che la follia può avere per il soggetto umano. Resta innegabile che se ogni folle può essere visto solo in quanto soggettività unica e peculiare, è anche vero che la follia porta dei tratti che accomunano tutti i soggetti che presto o tardi vengono definiti tali.

In questo capitolo si partirà dalla posizione assunta da Lacan all’inizio della sua ricerca per indagare il tema della scelta soggettiva nella follia, scelta che Lacan definisce insondabile, alla luce di un possibile risvolto etico della medesima, ovvero cercando di illuminare maggiormente i caratteri della suddetta insondabilità, la quale potrebbe essere tale per la coscienza ma non per il destino del singolo essere umano.

Nel capitolo precedente si è messo in evidenza come la costruzione ex novo della realtà fosse una costante sia della soggettività nevrotica, sia di quella psicotica (discostandosi dall’affermazione di Freud in La perdita della realtà nella nevrosi e nella psicosi, 1924, laddove scrive: «Nella nevrosi una parte della realtà viene evitata con la fuga, nella psicosi essa viene ricostruita ex novo»). Lì, ci si appoggiava anche all’asserzione di Carlo Viganò, che aveva paragonato l’operazione lacaniana Nome-del-padre ad uno strumento capace di estrarre la realtà dal caos, un’operazione quindi già solo all’apparenza “postuma” e fittizia.

È stato inoltre messo in evidenza come la realtà così portata alla luce fosse irreale né più né meno del delirio psicotico, proprio perché la metafora paterna altro non sarebbe, come afferma Jacques-Alain Miller, che una metafora delirante, dal momento che poggia in tutto e per tutto su una piattaforma fantasmatica: il fantasma soggettivo di ciascuno, che effettua il taglio del campo che ci è dato come realtà.

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