Nei primi anni Duemila il fenomeno del land grabbing, ossia del passaggio di mano di enormi estensioni di terre agricole, ha evidenziato l’affermarsi di nuovi modi di pensare al cibo e al problema della sussistenza energetica su scala globale. Sullo sfondo di una crisi ecologica epocale, nell’Africa subsahariana, nuovi modelli di sviluppo mirano a riconfigurare in maniera radicale gli spazi rurali e le pratiche produttive. Come mostra il caso delle comunità pastorali in Senegal, le cui lotte sono oggetto di questo studio, la comprensione di tali processi richiede di riflettere su una storia più ampia: i tempi lunghi dello sviluppo capitalista, l’avanzare del modello coloniale estrattivista e le forme di opposizione, a loro volta radicate nelle esperienze della dominazione coloniale. È proprio attorno alla questione della crisi e delle sue origini che emergono dinamiche di resistenza, incarnate nelle idee e nelle azioni di chi propone modi alternativi di pensare la riproduzione, il territorio e le forme dell’abitare. La possibilità di una transizione ecologica dipenderà allora dalla capacità di liberare lo sguardo, verso nuove alleanze socio-ecologiche.
Nuove frontiere, vecchi margini
Verso la fine dell’estate del 2010, un’impresa italiana, produttrice di olio alimentare ed attiva sul mercato delle agro-energie, ha deciso di associarsi ad un imprenditore con alle spalle una lunga esperienza nel settore dell’agroindustria per condurre un investimento in Senegal. Il progetto prevedeva l’acquisizione di un appezzamento fondiario sul quale avviare una produzione di girasoli e patate dolci da cui ricavare bioetanolo. Negli anni successivi lo scopo della produzione sarebbe mutato molte volte, arrivando a includere anche la coltivazione di riso per finalità alimentari, ma assestandosi sempre su rendimenti assai deboli, per non dire nulli. Ciò che invece è rimasto costante negli anni è stata la quantità di terra considerata necessaria all’investimento: 20.000 ettari, una superficie grande all’incirca come Milano e due volte e mezzo la città di Dakar, capace di contenere 28.000 campi da calcio. In Senegal, come in molti altri stati africani, il diritto fondiario presenta una forte compenetrazione tra sistemi formali e informali. Qui inoltre la proprietà privata rappresenta una tipologia giuridica meno diffusa rispetto alla proprietà del demanio nazionale che conferisce alla terra carattere inalienabile e collettivo. Le zone rurali corrispondono tutte a quest’ultima categoria. Per ottenere il diritto ad accedere alla terra la joint-venture ha dovuto dunque domandare l’autorizzazione alla comunità rurale, che rappresenta il primo livello di potere amministrativo e presiede alle concessioni fondiarie.