Come può la politica tradursi in violenza arbitraria e senza limiti contro l’essere umano? Questo è il paradosso del Male politico, che smaschera il proprio volto più cupo nei totalitarismi del XX secolo. A partire da uno scavo filosofico nell’abisso demoniaco di una violenza non solo distruttiva, ma fondativa dell’ordine pubblico, del potere sovrano e delle sue maschere legittimanti, questo studio intende prospettare un differente orizzonte politico, attraverso lo sguardo di Arendt, Lévinas e Derrida. Il Male totalitario non emerge come una necessità imposta alla politica dall’esterno ma come una possibilità estrema di una libertà che volontariamente ha scelto di distruggere. Il confronto con la sua realizzazione impone, perciò, un surplus di vigilanza teoretica, etica e politica: se ancora oggi è possibile il Male, è anche possibile scegliere di pensare e agire altrimenti?
Come nasce il potere politico? Tutte le teorie politiche moderne di matrice razionalista cercano di giustificare la differenza tra chi comanda e chi ubbidisce – e la politica che di tale differenza si alimenta – spiegandone la genesi, trascurando però la domanda sulla sua origine. Caratteristica del modello logocentrico, da Hobbes ad Hegel, è «presentare una costruzione all’interno della quale, coincidendo il politico con lo statuale, non residui alcuna forma possibile di conflittualità». Il contrattualismo ne rappresenta l’esempio più evidente, poiché fonda la generazione del potere sulla volontà razionale di individui liberi e uguali che si vincolano reciprocamente in modo consensuale. L’idealismo hegeliano delinea poi il compimento di questa prospettiva nel vedere nella forma razionale dello Stato una libera determinazione della libertà dello Spirito.
Se la genesi del politico descrive la differenza tra chi detiene il potere e chi vi è sottomesso come «razionalmente fondata» e «volontariamente scelta», diversa è invece la questione delle origini, rivolta a ciò che «fonda ab initio» il «rapporto di comando e obbedienza». Questione questa non oggettivabile scientificamente, rispetto alla quale nessun traguardo logicamente dedotto appare definitivo, nessuna definizione esaustiva. La natura profonda del potere costituisce infatti l’arcanuum al cuore di ogni ordinamento politico: ogni rappresentazione che si tenti di darne è allo stesso tempo ciò che fa velo, ciò che oppone resistenza, impedendo di scrutare gli elementi veritativi in essa contenuti.
Porsi la domanda sull’origine significa volgere lo sguardo oltre i confini dei costrutti analitici che, sebbene utili a delineare l’ordine politico, tuttavia «si rivelano inefficaci a vivisezionarne le sotterranee dinamiche». Infatti la domanda sulle origini del politico ci riporta proprio all’Oriente del politico, da cui i costrutti logici e razionalisti hanno tentato di emanciparlo.