Due avvenimenti segnano, a distanza di pochi giorni, un sanguinoso arresto nella storia delle illusioni europee: la spedizione di Suez e la repressione di Budapest. La prima appare oggi come un estremo sussulto dell’antico imperialismo, il disperato tentativo di impedire “con la flotta” l’emancipazione dei popoli un tempo coloniali. La maschera della bonomia è stata strappata per un istante, e in sua vece hanno parlato i cannoni, i cacciabombardieri lanciati sulle popolazioni del Nilo per intimidire il dittatore Nasser. Poco tempo dopo, una spietata repressione impedisce all’Ungheria di scivolare sul piano inclinato dell’anticomunismo, della reazione, del fascismo. Ma nel contempo vengono soffocati, a Budapest, i tentativi di una via nazionale al socialismo, intrapresi in buona fede (nonostante le ambigue sobillazioni) da notevoli gruppi di intellettuali e lavoratori. Quelle giornate del 1956 parvero obiezioni contro la storia e posero più drammaticamente la domanda: quali sono, oggi, le concrete possibilità rivoluzionarie? Nell’U.R.S.S., la via del socialismo non dimentico dell’uomo può passare per la destalinizzazione. Le contraddizioni, gli errori e le durezze sin qui manifestate dalla politica sovietica si possono spiegare con la necessità dell’industrializzazione forzata. Dal canto loro, gli Stati Uniti affermano di considerare superato il socialismo. Ma in realtà – ribadisce André Gorz – proprio negli Stati Uniti l’uomo è alienato alle strutture economiche, sempre più complesse, sempre più autonome. Reso incapace di scelte personali, egli subisce i bisogni che la pubblicità crea in lui artificialmente per soddisfare la produzione di massa; nelle società tecnologicamente più evolute, l’uomo considera ancora il lavoro come una maledizione.
La rivoluzione, conclude Gorz, deve essere fatta, è una esigenza umana come ai tempi di Marx. Ma quella che per Marx era una certezza, non è per noi, uomini e donne della società dei robot, che una speranza.
L’idea di una vocazione morale del proletariato o, se preferite, l’idea che la lotta del proletariato si identifichi nella lotta per la totale liberazione dell’uomo, è così solidamente radicata in tutti marxisti che il solo suo esame può già apparire sospetto. È accettato una volta per sempre che il proletariato è la filosofia o l’esigenza morale incarnata e che, di conseguenza, «essere morale» significa sostenere il proletariato nella sua lotta.
Tuttavia, essendosi la lotta proletaria da cent’anni incarnata in partiti politici e Stati che devono tener conto dei loro interessi, delle necessità della politica interna e della strategia mondiale, «essere morale» significa fare con convinzione, desiderare di fare tutto ciò che serve alla politica o alla strategia dei partiti e degli Stati proletari. Questa politica e questa strategia sono soggette al regno della necessità e alle sue determinazioni alienanti, e lo resteranno fino alla vittoria completa del socialismo in tutti i paesi. Di conseguenza, chiedere ai marxisti di piegarsi con gioia e convinzione alle necessità politiche e alle ragioni di Stato della lotta proletaria, e di allontanare dal loro animo, come altrettante debolezze pericolose, il dubbio, il disagio, la contestazione e la rivolta, non è meno idiota del chiedere a Oppenheimer di amare le bombe A e H.
Ciò porta inoltre a dimenticare la teoria marxista della alienazione e della disalienazione e a tagliare in due il marxismo, dovendosi ignorare le alienazioni proprie della politica proletaria.
Il discredito nel quale è caduta la l’idea – e l’esame della idea – di una vocazione morale del proletariato, si spiega dunque mediante ragioni diverse dalla perfetta evidenza dell’identità tra «liberazione totale dell’uomo» e «lotta proletaria». Difatti, il lento spegnersi di tale idea fa sì che spesso ci troviamo oggi di fronte a un marxismo mutilato che non permette di comprendere perché e in che cosa il proletario sia esigenza morale in quanto forza storica.
Nella prospettiva di codesto marxismo mutilato, non si pone il semplice problema di una vocazione morale del proletariato. Basta constatare che «a un certo stadio del loro sviluppo, le forze produttive materiali entrano in contraddizione coi rapporti di produzione esistenti… da forme di sviluppo, tali rapporti diventano ostacoli. In questo caso si apre allora un’epoca di rivoluzione sociale».