La giustizia climatica

Cos’è la giustizia climatica? Se la domanda suona semplice, composite e multiformi sono le possibili risposte, come chi ha tra le mani questo agile ed efficace testo si appresta a constatare. Concetto capace di riempire tanto i cartelloni colorati nelle mobilitazioni di piazza quanto centinaia di pagine di paper accademici, giustizia climatica è al contempo grido di battaglia, principio etico, categoria analitica, rivendicazione politica e linea programmatica fondativa di un futuro in cui equilibri ecologici e riequilibrio delle disuguaglianze camminano a braccetto.

Dopo decenni in cui l’emergenza climatica è stata sterilizzata a suon di gergo tecnico-scientifico, l’avvento della giustizia climatica ha permesso di disvelarne le implicazioni su diritti, disparità socioe-conomiche e asimmetrie di potere. Finalmente, guardare i mutamenti climatici con le lenti della giustizia e dell’ingiustizia ha reso evidente che non tutti – i Paesi, le comunità, gli individui, le generazioni – hanno le stesse responsabilità e non tutti – i Paesi, le comunità, gli individui, le generazioni – pagano lo stesso prezzo. Di più: a essere più vulnerabile e colpito è chi meno ha contribuito e meno mezzi ha per reagire.

Posto che il climate change è moltiplicatore di minacce e astronave madre di tutte le diseguaglianze, non si può pensare di risolvere la crisi del secolo senza ridurre anzitutto le iniquità, redistribuendo da un lato le responsabilità e dall’altro strumenti di protezione, riconoscimento e riparazione.

Come nasce la giustizia climatica?

La giustizia climatica viene dal basso, e dal basso provengono la sua forza e il suo potenziale. Si intreccia con il cammino nella giustizia ambientale, con i conflitti ecologico-distributivi; li tematizza e li federa in una battaglia unitaria che ha come avversario un modello di economia e società che estrae valore dalla natura e dalle comunità umane, privatizzando e concentrando ricchezza e scaricandone sulla collettività i costi.

Sorge dai grassroots, dai movimenti indigeni e rurali di America Latina, Asia e Africa, che reclamandola chiedono il riconoscimento dei contributi emissivi storici in capo ai Paesi industrializzati; maggiori misure di protezione per popolazioni e regioni vulnerabili; inclusione nei processi decisionali; applicazione del principio di equità nel disegno delle azioni di mitigazione e adattamento.

Emerge, muta e si consolida via via che l’architettura del governo globale del clima evolve e fallisce. Smonta pezzo per pezzo la retorica dello sviluppo sostenibile, della green economy, delle false soluzioni alla crisi climatica, della transizione ecologica dall’alto, del mercato come panacea di tutti i mali. Sferza i discorsi paludati dei rappresentanti politici, li richiama alla realtà. Li accusa e incalza prima; li disconosce e schernisce poi.

Non si stanca di ribadire, di fronte alla cecità di istituzioni e media, l’unica soluzione praticabile: smettere di bruciare combustibili fossili e far pagare la transizione a chi ha inquinato. Il resto – assicura – è rumore di fondo, distrazione di massa, bla bla bla.

Ma la domanda cui forse più che alle altre mirano a rispondere le pagine che seguono è dove guarda la giustizia climatica? Anche in questo caso, la risposta è plurale.

La giustizia climatica guarda lontano; è ambiziosa e ha visione. Apporta alla battaglia per il clima una forza inedita, è radicale e rivoluzionaria tanto nel linguaggio che nelle implicazioni.

Spinge a ricomporre istanze provenienti da percorsi diversi; è capace di farle dialogare e rafforzarle mutuamente. Sa analizzare il passato, costruire il presente ed evocare il futuro.

Il portato della giustizia climatica è dunque enorme, dirompente – seppur ancora ampiamente inespresso. Ne consegue che lottare per raggiungerla non è una mira soltanto ecologista. Vuol dire battersi per equilibri ecologici ed equità sociale, per distribuire risorse e potere, esigendo scelte drastiche senza le quali la sfida climatica sarebbe già persa.

Alle origini, dimensioni e potenzialità di questo principio di portata epocale – come gli stessi autori specificano in premessa – al suo percorso di affermazione ed evoluzione e alle prospettive che apre per il futuro delle vertenze sociali e ambientali è dedicato questo testo. Un lavoro prezioso, compiuto in ascolto delle realtà di movimento e scritto pensando anzitutto a loro, ma destinato allo stesso tempo a colmare un vuoto nella letteratura accademica del nostro Paese e ad aprire una riflessione comune a studiosi, attivisti, scienziati di cui si sente forte il bisogno.

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