Memorie, risposte e responsabilità
Riottoso sia all’analogia sia all’anticipazione, quello che si annuncia sembra senza precedenti. Esperienza angosciata dell’imminenza, attraversata da due certezze contraddittorie: il vecchissimo soggetto della identità culturale in genere (prima della guerra si sarebbe forse parlato di identità «spirituale»), il vecchissimo soggetto della identità europea, ha certo la venerabile antichità di un tema esaurito. Ma forse questo «soggetto» conserva un corpo vergine. Il suo nome maschera forse qualcosa che non ha ancora un volto? E noi ci chiediamo nella speranza, con timore e tremore, a che somiglierà quel volto. Somiglierà ancora? E a quello di una qualche persona che crediamo in conoscere, Europa? E quand’anche la dissomiglianza avesse i connotati dell’avvenire, si sottrarrebbe alla mostruosità?
Speranza, timore e tremore sono proporzionali ai segni, che ci giungono da ovunque in Europa, dove, proprio in nome della identità, culturale o meno, le peggiori violenze, quelle che riconosciamo sin troppo bene senza averle ancora pensate, i crimini della xenofobia, del razzismo, dell’antisemitismo, del fanatismo religioso o nazionalistico, ormai si scatenano, si mischiano, si mescolano tra loro ma si mischiano anche, e in questo non c’è nulla di fortuito, con lo spirare, col respiro, con lo «spirito» stesso della promessa.
Per incominciare vi confesserò una sensazione. Già a proposito dei capi – e dei bordi che intendo costeggiare. È la sensazione un po’ opprimente di un vecchio Europeo. Più esattamente di uno che, non essendo affatto europeo di nascita, perché io vengo dalla rive meridionale del Mediterraneo, si reputa anche, e sempre di più con l’età, una sorta di meticcio europeo sovracculturato e sovra colonizzato (le parole latine cultura e colonizzazione hanno una radice comune, affondano le loro radici proprio là dove è questione di ciò che tocca alle radici). È forse la sensazione, insomma, di uno che ha dovuto, sin dalla scuola nell’Algeria francese, cercare di capitalizzare la vecchiezza dell’Europa pur conservando un poco della insensibile e impassibile giovinezza dell’altro bordo. O meglio tutte le stigmate di una ingenuità ancora incapace di quell’altra vecchiezza da cui la cultura francese mi aveva separato molto presto.