Félix Guattari, L’inconscio macchinico

La trasformazione della psicoanalisi in componente essenziale dell’ordine sociale non giustifica la rinuncia totale all’analisi dell’inconscio. Così come pure lo stallo in cui si trovano i movimenti rivoluzionari non deve lasciare il passo alla diserzione della politica.

Bisogna porre fine alla dittatura del cogito, accettare che concatenamenti materiali, biologici, sociali, siano in grado di “macchinare” la propria sorte e di creare degli universi complessi eterogenei. Tali sono le condizioni per comprendere come il desiderio, anche quello più intimo, possa agganciarsi e comunicare con il campo sociale.

L‘inconscio ha ancora qualcosa da dirci? Gli si è accollata talmente tanta roba addosso da decidere di tacersi! Per troppo tempo si è creduto di poter interpretare i suoi messaggi. Tutta una corporazione di specialisti si è dedicata a questo compito! Ma il risultato non è stato tuttavia brillante! Sembra che essi abbiano capito tutto in modo sbagliato! L’inconscio parlerà definitivamente una lingua intraducibile? È possibile! Bisognerebbe riprendere le cose dall’inizio. Prima, esattamente, cos’è l’inconscio? Un mondo magico nascosto non si sa in quale piega del cervello? Un mini-cinema interiore, specializzato nel porno-infantile, o nella proiezione di piani fissi archetipici? I nuovi psicoanalisti hanno elaborato dei modelli teorici più puri e meglio sterilizzati dei vecchi: ci propongono ora un inconscio strutturale svuotato di tutto l’antico folclore freudiano o junghiano, con le sue griglie interpretative, i suoi stadi psico-sessuali, i suo drammi ricalcati sull’antichità… Secondo loro, l’inconscio sarebbe “strutturato come un linguaggio”. Ma, e va da sé, non come un linguaggio di ogni giorno! Piuttosto come un linguaggio matematico. Per esempio J. Lacan parla oggi correntemente di “matemi” dell’inconscio…

Si ha l’inconscio che si merita! E devo confessare che quello degli psicoanalisti strutturalisti mi convince ancora meno di quello dei freudiani, dei junghiani o dei reichiani! L’inconscio, lo vedrei piuttosto come qualche cosa che gironzola un po’ ovunque intorno a noi, nei gesti, gli oggetti quotidiani, così come in televisione, nell’aria del tempo e anche, e forse soprattutto, nei grandi problemi del presente. (Penso, per esempio, a questa questione delle “scelte sociali” che torna a galla in ogni campagna elettorale.) Dunque un inconscio che lavora tanto all’interno degli individui, nel loro modo di percepire il mondo, di vivere il proprio corpo, i loro territori, il loro sesso, che all’interno della coppia, della famiglia, della scuola, del quartiere, delle officine, degli stadi, delle Università… Detto diversamente, non un inconscio di specialisti dell’inconscio, non un inconscio cristallizzato nel passato, gelificato in un discorso istituzionalizzato, ma al contrario, rivolto all’avvenire, un inconscio la cui trama non sarebbe altro che il possibile stesso, il possibile che riaffiora nel linguaggio ma anche il possibile a fior di pelle, di socius, di cosmos… Perché incollargli questa etichetta di “inconscio macchinico”? Semplicemente per sottolineare che esso è popolato non solo di immagini e di parole, ma anche di tutta una sorta di macchinismi che lo conducono a produrre e riprodurre queste immagini e queste parole.

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