Andrea Girometti, Il reale è relazionale. Studio sull’antropologia economica e la sociologia politica di Pierre Bourdieu

Il libro focalizza l’attenzione su alcune tematiche affrontate da Pierre Bourdieu senza trascurare l’eterogeneo e vasto campo di ricerca con cui si è cimentato. Nella prima parte del volume si ricostruisce l’approccio teorico – mai scisso dal lavoro propriamente empirico – del sociologo francese a partire da uno dei concetti cardine del suo pensiero, quello di capitale, fino a giungere a discutere quella che può essere definita un’antropologia economica bourdieusiana. La seconda parte del testo si addentra nella sociologia politica di Bourdieu per restituirne l’originalità e la radicalità analitica, soffermandosi soprattutto sulla specificità del campo politico e sul processo di alienazione del capitale politico. Una particolare rilevanza è data, inoltre, alla lotta per il dominio simbolico e alle critiche indirizzate alla doxa democratica in nome di un’effettiva politica democratica, nonché alle considerazioni sullo Stato come detentore ambivalente del monopolio della violenza materiale e simbolica, e infine all’impegno politico e sociologico di Bourdieu contro l’egemonia neoliberista e per l’affermazione di un movimento sociale europeo.

Un intellettuale critico nel campo politico

La sociologia politica bourdieusiana può essere definita come una forma di politica della sociologia. Ovvero, in Bourdieu le azioni che connotano una ricerca sono anche azioni politiche da cui segue un necessario intreccio tra scienza e politica in cui la conoscenza è concepita in termini performativi e non solo descrittivi. Ciò è all’origine del programma bourdieusiano di analisi e demistificazione del potere simbolico, ed è diventato sempre più esplicito nei decenni successivi, in particolar modo a partire dagli anni Novanta, frangente temporale in cui Bourdieu intravede all’opera una regressione politica, sociale e intellettuale, sia in Francia che in ambito sovranazionale, che lo porta ad impegnarsi sempre più direttamente nel campo politico. Al contempo, non si riuscirebbero ad interpretare in modo corretto i mutamenti intercorsi nelle prese di posizione politiche del sociologo francese se non ci si focalizzasse anche su un’evoluzione bourdieusiana in merito al rapporto con le classi popolari che si può leggere in un’opera come la La miseria del mondo. In essa – concordiamo con le riflessioni di Micheal Burawoy almeno in parte polemiche verso una recente lettura quantomeno riduttivistica dell’opera bourdieusiana – il sociologo francese e i suoi colleghi «si costituiscono come un intellettuale organico [corsivo mio] in stretta connessione» con i soggetti dominati più disparati (dagli operai ai piccoli commercianti, dai lavoratori nell’ambito sociale agli immigrati ecc.). In questo testo, nondimeno, assistiamo alla messa in opera di una modalità d’interazione tra intervistatore e intervistato in cui la disposizione socratico-maieutica del primo consente al secondo di diventare levatore di verità. Ciò renderebbe l’intervistato in grado – in un «tentativo estremo di realizzare la polionomasia [per] far emergere la parola che proviene dai punti periferici dello spazio sociale» – di portare alla luce intuizioni sociologiche sulla propria vita indebolendo i processi di misconoscimento in cui restava preso rendendo pertanto possibile «un lavoro di liberazione» contro la violenza simbolica.

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