Vladimir Jankélévitch, Il paradosso della morale

Il quadro della moralità offerto da Jankélévitch è mosso da forti chiaroscuri. Agire bene o male è un’esperienza umana originaria, che coinvolge l’intera esistenza nella forma dell’intermittenza, della caduta e del rilancio, è perenne scontro di essere e dovere, purezza di cuore e amore, e insieme incapacità di distinguere il bene dal male, ansia di assoluto e sua eclissi.

Il paradosso della morale, ultima opera pubblicata in vita da Jankélévitch – alla quale è legittimo attribuire un carattere di sintesi della sua visione etica – è interamente occupata da un lavoro sulla contraddizione. La vita morale e la sua fondamentale ambivalenza vengono descritte, analizzate e problematizzate all’insegna delle vicende, sempre diverse e imprevedibili, della contraddizione che sta nel cuore dell’etica. «Paradosso» è «la contraddizione professata», la contraddizione che, a causa dell’inevitabile collocarsi all’interno della dinamica temporale, si sdoppia, si esaspera fino all’iperbole e deflagra o si diluisce fino a neutralizzarsi. La sua configurazione conclusiva sarà la compresenza degli opposti nel corpo e nel suo carattere di organo-ostacolo, definito «contraddizione congelata, impietrita, pietrificata».

Vivere per l’altro

Nel foro intimo della vita morale c’è una contraddizione segre­ta che il tran-tran della continuità e della intermediarità quoti­diane lascia emergere di rado, ma che esplode di quando in quando all’apice incandescente delle situazioni tragiche. Questa contraddizione interna e, quasi sempre invisibile, possiamo for­mularla mediante un doppio assioma che è al tempo stesso un’evidenza indimostrabile e il colmo del non-senso, che è in­somma un impossibile-necessario: vivere per te, vivere per te fino a morirne, morte compresa.

Questo dilemma del tutto-o-niente, che è nel sacrificio iperbo­lico l’ultimatum irrazionale per eccellenza, al limite e in via di principio sfocia in un’esigenza assurda ed esorbitante. Esigenza – sembra – puramente gratuita… Vivere per te, vivere per te fi­no a morirne – questi due paradossi formano insieme un solo e identico imperativo: giacché l’offerta che si fa a qualcuno quando si vive per lui, fino in fondo, senza riservarsi niente per se stessi, sacrificandogli tutto, implica che si consenta tacita­mente a morire per questo qualcuno, e al posto suo, se tale è la condizione della sua sopravvivenza. Questo imperativo al tempo stesso duplice e semplice esige da me non già una ri­sposta platonica, ma un atto; io sono personalmente interessa­to, insistentemente interpellato dalla drastica urgenza di una richiesta in cui s’impegna immediatamente e appassionatamente l’intera mia vita.

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