Il tema della bellezza viene qui affrontato da Umberto Galimberti, come nel suo stile, con un ritorno alle sorgenti della nostra cultura. Se quella ebraica era una cultura della parola, quella greca era invece una cultura della visione, dominata dal senso della finitudine e della misura. Così anche la bellezza per l’uomo greco antico è ciò che rispetta delle misure, e cioè ha proporzioni calcolabili. Il cristianesimo porterà poi sulla scena un Dio che si fa corpo visibile, dando in questo modo maggior spazio all’immagine e quindi all’arte figurativa. Ma la bellezza è essenzialmente “simbolo”, cioè una dimensione in cui confluisce e si compone il sensibile – ciò che è materiale, che ha a che fare con i sensi, il proprio Io – e il sovrasensibile – un’eccedenza di significato, un’ulteriorità di senso, un rimando a qualcos’altro.
Non mi sono mai occupato di bellezza e nonostante mi sia messo a studiare, ho ancora qualche incertezza. Ricordo che, appena laureato, il primo libro che volevo scrivere doveva avere come titolo “Verità e bellezza”, o “Bellezza e verità”, ma poi ho lasciato perdere questa idea. Cosa c’era che mi infastidiva e mi rendeva impossibile scrivere intorno a quel tema? Il fatto che la bellezza è una cosa strana! Se della verità si può parlare – perché la verità è una teoria e quando si fa una teoria chi ne parla e ne scrive è un autore, quindi governa la situazione – invece per ciò che riguarda la bellezza si è semplicemente spettatori, si è passivi, ci si trova in uno stato di stupore, di meraviglia. E non è un caso che si dica che la filosofia «è nata dal dolore e dalla meraviglia»: entrambi sono stati in cui l’uomo è passivo, perché il dolore ti arriva addosso, lo patisci (per questo, infatti, si dice “paziente”), ma anche la meraviglia è una cosa che subisci, ti lascia stupito, anche istupidito, nel senso di attonito, perché ti sconvolge.
Quando dico che la bellezza sconvolge, lo dico letteralmente, cioè mi riferisco anche ad aspetti psicopatologici. Conoscerete senz’altro la sindrome di Stendhal, che consiste nel fatto che alcune persone, di fronte a opere d’arte, sono a tal punto sconvolte da avere attacchi di panico, cioè da essere in una condizione di non padronanza di sé. La bellezza quindi non è una cosa tranquilla, la bellezza è qualcosa che ti sorprende.