Felice Ciro Papparo, Il giardino interminato

«Voglio che si agisca e si prolunghino le faccende della vita finché si può, e che la morte mi trovi mentre pianto i miei cavoli, ma incurante di essa, e ancor più del mio giardino non terminato». Così scriveva Montaigne nel suo Filosofare è imparare a morire.

Forse si può prendere questo auspicio come filo conduttore per una riflessione intorno all’Io. Montaigne sembra infatti lontano dai due atteggiamenti che vanno per la maggiore quando si tratta di Io. O la sua celebrazione, come se fosse l’unica cosa che conta al mondo, che va accresciuta attraverso le sue proprietà, stagliandosi sugli altri. O il suo svilimento, la sua sparizione, il suo essere ridotto a effetto sostanziale di proiezioni immaginarie. In questo libro si prova invece ad affrontare questo concetto, fra i più celebri e maltrattati dalla filosofia, individuandolo a partire da ciò che è nei dintorni dell’Io: il tu, gli altri, le cose, gli animali, gli oggetti, insomma, il “mondo” come groviglio delle contingenze e spettacolo della propria destinazione individuale. Attraversando Aristotele, Lucrezio, Locke, Leibniz, Rousseau, Kant, Hegel, Tarde, Nietzsche, Valéry, Bataille e ovviamente Montaigne, si cerca così di pensare l’Io come uno spazio che va coltivato, uno spazio di azione e persino di avventura, ma sempre con una certa distanza, con una consapevolezza della sua imperfezione, con una noncuranza per le sue vanità – soli modi per durare veramente.

La seduzione del Nulla

Nel chiudere uno dei suoi ultimi articoli sulla dimensione religiosa, dedicato a La religione preistorica, Bataille ritorna sul nucleo forte del suo pensiero: la dimensione della sovranità; una dimensione caratterizzata essenzialmente dalla ricerca di «un valore sovrano che rifiuta ogni subordinazione all’interesse» e che si dà a ‘vedere’ ma non a ‘cogliere’ in quei momenti nulli, indefinibili se non attraverso la ‘via negativa’.

Sforzandosi di circoscrivere il ‘territorio’ dove il nullo interesse si mostra, Bataille, con l’ausilio delle immagini trovate nelle “caverne dipinte” «che non rispondevano, precisava Bataille, volgarmente a un bisogno di cibo», definiva a questa maniera l’esigenza della sovranità:

Non si tratta di voler stupidamente sfuggire all’utile, e ancor meno di negare la fatalità che dà sempre alla fine a esso l’ultima parola, [… ma di fare spazio] alla possibilità di vedere apparire quel che seduce, ciò che sfugge nell’istante dell’apparire alla necessità di rispondere all’utile.
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