La presente edizione degli Scritti giovanili di Hegel dal 1785 al 1800 offre per la prima volta in Italia il panorama completo della genesi e dell’evoluzione giovanile del pensiero del più grande filosofo dell’età moderna: dalla prima educazione neoclassica e illuministica all’adesione incondizionata a Kant, al sorgere del pensare dialettico.
L’opera offre occasione per un ripensamento del pensare hegeliano, al di là dei preconcetti dell’ideologia e dello storicismo, recuperando la geniale intuizione del Nohl di una genesi e di una sostanza “teologica” del pensiero di Hegel.
Per quanto riguarda la religione, i greci e i romani hanno percorso il cammino di tutte le altre nazioni. Il pensiero di una divinità è così naturale per l’uomo che si è sviluppato presso tutti i popoli. Nella loro fanciullezza, nello stato di natura, essi hanno pensato alla divinità come ad un essere onnipotente che governa a proprio arbitrio gli uomini e le cose tutte. Le loro rappresentazioni della divinità se le sono formate a partire dal dominare, che bene conoscevano, dei capifamiglia o dei principi, che governavano a loro totale discrezione sulla vita e sulla morte dei loro sudditi, che essi seguivano ciecamente in tutto, anche negli ordini ingiusti e disumani: i loro dèi vanno in collera, si comportano avventatamente e potrebbero anche pentirsi di qualche cosa. Proprio così essi pensavano le loro divinità; e le rappresentazioni di gran parte degli uomini della nostra epoca così celebrata e illuminata non sono fatte altrimenti. L’infelicità, il male fisico e morale essi lo consideravano come una punizione degli dèi; e ne deducevano di averli offesi, coscientemente o incoscientemente, con azioni che li avevano mossi a sdegno, e di aver meritato la loro ira. Cercavano perciò di placarli con doni, con quanto di meglio avevano, con le primizie e addirittura con ciò che avevano di più caro, i loro figli. Questi uomini non vedevano ancora che quel male non era un male reale, che la felicità e l’infelicità dipendevano da loro stessi, che la divinità non manda mai l’infelicità a danno delle sue creature; né consideravano che gli uomini non possono cattivarsi con doni l’essere supremo né possono aggiungere o togliere alcunché alla sua ricchezza, potenza e onore. Ma come dovevano presentargli i loro sacrifici? Poiché vedevano che solo dissolte nel fumo le cose salgono alle nubi, dove credevano che egli abitasse, facevano consumare sul fuoco i doni a lui destinati. Questa è l’origine dei sacrifici che presso i greci e i romani, come presso gli israeliti, costituivano la parte principale del culto divino. Gli uomini, che potevano pensare tutto soltanto per rappresentazioni sensibili, si costruivano anzitutto delle immagini corporee della divinità con argilla, legno o pietra, ognuno a seconda dell’ideale che aveva dell’essere massimamente temibile; di qui le mostruose forme e figure degli dèi presso i popoli rozzi senza esperienza del bello e senza arti. E di necessità ognuno doveva dare anche un nome particolare al suo proprio dio.