Giuseppina De Simone insegna Filosofia della religione ed è coordinatrice della Specializzazione in Teologia fondamentale presso la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale (sez. San Luigi, Napoli). I suoi studi vertono su temi di confine tra filosofia e teologia, in particolare sull’esperienza religiosa, e si muovono in ambito fenomenologico.
La questione della possibilità dell’incontro tra filosofia e teologia a partire dalla condivisione della prospettiva di ricerca tracciata dalla fenomenologia, reca in sé non solo l’annosa questione del rapporto tra filosofia e teologia ma anche un’altra questione, anch’essa complessa e controversa.
Può la fenomenologia essere un metodo? E qual è la finalità che tale metodo si proporrebbe di perseguire? Qual è il campo di applicazione di tale metodo, a quale conoscenza esso apre? E in termini ancora più radicali: c’è una fenomenologia al singolare, un metodo che si definisca fenomenologico in maniera univoca e inequivocabile?
La storia della fenomenologia nel Novecento e oltre appare di fatto sotto il segno della varietà dei percorsi e dei criteri, tanto che c’è chi ha affermato che la fenomenologia vive nelle sue eresie.
E tuttavia c’è una unità di criteri, un’ispirazione comune che è possibile rintracciare nella diversità dei percorsi tracciati dalla ricerca filosofica di autori che alla fenomenologia in diverso modo sono collegati.
L’istanza di fondo è “tornare alle cose stesse”, ritrovare il contatto del pensiero con il reale, riconducendo l’ordine della rappresentazione concettuale al rapporto vivo con le cose nel loro offrirsi alla coscienza. Ma di quale reale si tratta? Se la conoscenza muove dal fenomeno ossia dall’apparire del reale, dal suo offrirsi alla coscienza appunto, è la vita della coscienza ciò a cui occorre ritornare condotti dalla domanda che lo stesso fenomeno suscita. La domanda è: dove si costituisce come tale il fenomeno? Dove prende forma per ciò che è? Il che implica però chiedersi: che cosa è in gioco nella vita della coscienza?