Giovanni Rotiroti, Elogio della traduzione impossibile

Tradurre non vuol dire soltanto trasporre tecnicamente una lingua in un’altra lingua (anche se ciò è necessario), ma significa offrire la consistenza di un’immagine che dovrebbe corrispondere alla presenza ideale di un patrimonio comune delle diverse civiltà. La lingua dell’Europa è la lingua della traduzione. Si tratta quindi di restituire alla traduzione la sua difficoltà, le sue resistenze, la sua poeticità, cercando di conservare lo scarto fra il patrimonio culturale e la sua trasmissione, fra verità e trasmissibilità, fra scrittura e autorità. L’immagine che dà la letteratura romena nella sua cifra traduttiva, linguistica e intertestuale – attraverso Urmuz, Eugène Ionesco, Paul Celan, Gherasim Luca e altri scrittori – è quella di un sapere imprevedibile e poetico, che attiva la risonanza di molteplici voci. Il suo discorso, inteso nel senso della comparazione, insegna a intendere le differenze, a salvarle e non solo: ad amarle, e anche a volerne essere parte. Ciò ha una ricaduta anche sul piano etico. Una traduzione impossibile è una traduzione ospitale che sa accogliere l’altro in quanto altro opponendosi con tutte le forze all’ostilità e alla violenza dell’incontro. Un altro nome per dire la democrazia.

Recensioni

Giovanni Rotiroti, Elogio della traduzione impossibile, Orthotes Editrice, Napoli-Salerno 2017, 214 pp., 18 euro (collana: Studia Humaniora)

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