La pubblicazione di Mille piani, nel 1980, è da considerarsi un evento del linguaggio e del pensiero, scioccante nel colpire e impercettibile nella sua azione trasformatrice, che ancora oggi continua ad agire sui corpi, individuali e collettivi. Come ogni evento, è dovuto scorrere del tempo – e forse altro ne passerà – perché la densità e la centralità dei temi di quest’opera venissero recepiti in tutta la loro importanza. Le scosse telluriche prodotte da questa «geologia della morale» riguardano svariati ambiti della relazione tra sapere, potere e desiderio, tanto nel campo umanistico, quanto in quello scientifico, economico e politico. L’episteme della tradizione – storica, politica, coloniale, patriarcale – viene colpita implacabilmente dal fuoco amico delle macchine da guerra filosofiche. E tra le fiamme delle immagini dogmatiche del pensiero, un rigoglio incantevole di suoni, luci, brezze, piante rizomatiche, vespe e orchidee, sciamani e animali di ogni sorta, esprime la complicità con un «popolo che manca», una comunità in divenire appena tratteggiata, che fa delle differenze e delle minoranze il cemento del domani. Per queste e altre ragioni Mille piani è un’opera filosofica ancora in grado di diagnosticare il nostro tempo, ma anche l’arsenale teorico che può riscaldare questi «anni d’inverno», iniziati in concomitanza con la sua pubblicazione e culminanti nella concretizzazione delle «società di controllo», illuminare a giorno la crisi ecologica ed economica che umilia il mondo intero, e far saltare in aria la marea di stupidità, fascismi e pulsioni di dominio che impoveriscono le nostre vite.
Mille piani: quando il viso diviene un’ecceità
Perché non darete nulla alle ecceità senza rendervi conto che ne fate parte e non siete nient’altro. Quando il viso diviene un’ecceità: «Era uno strano miscuglio, il volto di qualcuno che ha trovato semplicemente il modo di adattarsi al momento presente, al tempo che fa, alla gente che c’è». Siete longitudine e latitudine, un insieme di velocità e di lentezze tra particelle non formate, un insieme di affetti non soggettivati. Avete l’individuazione di un giorno, di una stagione, di un anno, di una vita (indipendentemente dalla durata) – di un clima, di un vento, di una nebbia, di uno sciame, di una muta (indipendentemente dalla regolarità). O almeno potete averla, potete arrivarci. Un nugolo di cavallette portate dal vento alle cinque della sera; un vampiro che esce la notte, un lupo mannaro quand’è luna piena. E non si creda che l’ecceità consista soltanto in un decoro o in uno sfondo che localizzerebbe i soggetti, né in appendici che fisserebbero al suolo le cose e le persone. Tutto il concatenamento nel suo insieme individuato è un’ecceità; si definisce mediante una longitudine e una latitudine, per velocità e affetti, indipendentemente dalle forme e dai soggetti che appartengono a un altro piano. Il lupo stesso o il cavallo o il bambino finiscono di essere soggetti per divenire eventi, in concatenamenti che non si separano da un’ora, da una stagione, da un’atmosfera, da un’aria, da una vita. La strada si compone con il cavallo, come il topo che agonizza si compone con l’aria, e la bestia e la luna piena si compongono tra loro. Al massimo si distingueranno le ecceità di concatenamenti (un corpo considerato soltanto come longitudine o latitudine), e le ecceità d’interconcatenamenti, che sottolineano pure le potenzialità di divenire in seno a ogni concatenamento (l’ambiente di incrocio delle longitudini e latitudini). Ma entrambe sono strettamente inseparabili. Il clima, il vento, la stagione, l’ora non sono di una natura diversa dalle cose, dagli animali o dalle persone che li popolano, li seguono, vi dormono o vi si svegliano. Ed è di un sol fiato che si deve leggere: la bestia-caccia-alle-cinque. Divenire-sera, divenire-notte di un animale, nozze di sangue. Le cinque della sera sono questa bestia! Questa bestia è questo luogo! «Il cane magro corre nella strada, questo cane magro è la strada», grida Virginia Woolf. Bisogna sentire così. Le relazioni, le determinazioni spazio-temporali non sono predicati della cosa, ma dimensioni di molteplicità. La strada fa parte sia del concatenamento cavallo da omnibus, che del concatenamento Hans a cui essa innesca il divenire-cavallo. Siamo tutti le cinque della sera o un’altra ora e, semmai, due ore alla volta, la migliore e la peggiore, mezzogiorno-mezzanotte, ma distribuite in modo variabile. Il piano di consistenza contiene soltanto ecceità secondo linee che si incrociano. Le forme e i soggetti non sono di questo mondo.